Resoconto tecnico
La finanza internazionale si muove in favore della decarbonizzazione
di Toni Federico
Consideriamo la COP 26, pur nei suoi evidenti limiti, il momento e il luogo focali per rilanciare la riduzione delle emissioni di carbonio, ma il gran problema resta quello degli investimenti, e finora non ce ne sono abbastanza. La giornata di oggi è dedicata al finanziamento della lotta al cambiamento climatico. Al di là dell’erogazione di 100 miliardi all’anno del GCF, obiettivo rilanciato e
ripromesso al G20 e a Glasgow, ma ancora inevaso, il grande numero che domina il vertice è di 130 trilioni di dollari. Questo è il valore delle attività detenute da 450 istituzioni finanziarie globali che si sono impegnate a raggiungere obiettivi di emissioni nette zero come parte della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), in crescita di 25 volte rispetto a solo un anno fa, come risulta dal Rapporto datato novembre 2021. La GFANZ, attiva in 45 paesi, ha affermato che potrebbe fornire fino a 100 trilioni di US$ di finanziamenti per aiutare le economie a passare allo zero netto nel prossimo tre decenni.
In teoria, le istituzioni, dalle banche agli assicuratori, hanno un enorme potere di spingere le aziende ad abbracciare gli obiettivi di decarbonizzazione. In pratica, ciò sta accadendo lentamente, se non per niente affatto nella maggior parte dei settori. Oggi c’è poco accordo in tutto il settore finanziario su quali obiettivi dovrebbero essere assunti per il net zero e su come misurarli. Inoltre i membri di GFANZ non sono tenuti a smettere di finanziare i combustibili fossili. I gestori di patrimoni che si erano iscritti a GFANZ hanno per ora impegnato solo il 35% del loro patrimonio totale a obiettivi net zero. Il mese scorso le banche che hanno aderito a GFANZ si sono opposte ad una roadmap più esplicita per la riduzione delle emissioni di gas serra proposta dall’IEA che avrebbe richiesto loro di fermare il finanziamento di tutti i nuovi progetti di esplorazione per petrolio, gas e carbone. In effetti, le banche private stanno investendo di più nei combustibili fossili rispetto a quando è stato firmato l’Accordo di Parigi nel 2015. Il grafico a barre mostra il finanziamento totale dei combustibili fossili da parte delle banche dal 2016 al 2020. JPMorgan ha il totale più alto con 317 miliardi di dollari, seguito da Citi con 238 miliardi di dollari, Wells Fargo con 223 miliardi di dollari e Bank of America con 199 miliardi di dollari. La cifra di 130 trilioni di dollari sopravvaluta la quantità di denaro effettivamente destinata alle emissioni nette zero: solo una parte dei portafogli di investimento della maggior parte dei gestori patrimoniali include l’obiettivo di azzeramento. In assenza di una regolamentazione internazionale, i finanzieri dovrebbero attenersi a uno standard chiaro e trasparente. A questo fine, l’International Financial Reporting Standards Foundation, l’organismo di contabilità globale, ha lanciato l’International Sustainability Standards Board per stabilire standard di trasparenza per la finanza climatica per i mercati finanziari coerenti a livello globale. Oggi il cancelliere del Regno Unito Rishi Sunak ha ribadito i piani annunciati a ottobre per richiedere alle società britanniche dal 2023 di pubblicare programmi a emissioni zero, stabilendo come intendono decarbonizzare entro il 2050. Per risolvere le controversie sull’interpretazione del concetto di net zero da parte delle istituzioni della finanza privata, il segretario delle Nazioni Unite António Guterres ha cercato di mediare annunciando la costituzione di un organo di controllo per analizzare gli impegni zero netto da parte di attori non statali. “C’è un deficit di credibilità e un’eccedenza di confusione sulle riduzioni delle emissioni e sugli obiettivi di zero netto, con significati diversi e metriche diverse”, ha detto in un discorso lunedì. Forti contestazioni da parte delle associazioni della società civile, hanno avuto corso nella giornata di oggi, con Greta Thunberg e Greenpeace in prima linea.
Oggi è stato dato l’annuncio da più di 40 leader mondiali che affermano che lavoreranno insieme per potenziare l’adozione delle tecnologie pulite imponendo standard e politiche a livello mondiale in una iniziativa denominata Glasgow Breakthroughs. Inizialmente saranno interessati cinque settori ad alto contenuto di carbonio, tra cui l’agricoltura e la generazione elettrica, l’acciaio, il trasporto su strada e l’idrogeno. Il piano è stato lanciato dal primo ministro britannico Boris Johnson, insieme a rappresentanti di Stati Uniti, India, UE e, soprattutto, Cina. I firmatari rappresenterebbero oltre il 70% dell’economia mondiale e di ogni regione. Il primo ministro britannico ha dichiarato: “Rendendo la tecnologia pulita la scelta più conveniente, accessibile e attraente, il punto di partenza predefinito in quelli che sono attualmente i settori più inquinanti, possiamo ridurre le emissioni in tutto il mondo. Daremo una spinta in avanti, in modo che entro il 2030 le tecnologie pulite possano essere utilizzate ovunque, non solo riducendo le emissioni ma anche creando più posti di lavoro e maggiore prosperità”. I leader firmatari si sono impegnati a discutere i progressi ogni anno in ogni settore, a partire dal 2022. Sarà l’IEA a documentare lo stato di avanzamento dell’iniziativa.
Parallelamente oggi vengono lanciate la Green Grids Initiative, per interconnettere continenti, paesi e comunità alle fonti di energia rinnovabili e garantire che nessuno rimanga senza accesso all’energia pulita; la AIM4C, una nuova iniziativa guidata da Stati Uniti e Emirati Arabi Uniti, con oltre 30 paesi sostenitori, impegnata ad accelerare l’innovazione nell’agricoltura sostenibile; il programma Breakthrough Energy Catalyst che mira a raccogliere fino a 30 miliardi di dollari di investimenti e ridurre i costi per l’idrogeno verde, la DAC, cattura diretta di CO2 dall’aria e l’accumulo di energia a lungo termine; la First Movers Coalition, annunciata dal Presidente Biden, un club di acquirenti di 25 grandi aziende globali, guidato dagli Stati Uniti, che si impegnano a impegnare settori come acciaio, autotrasporti, spedizioni, aviazione, alluminio, cemento e prodotti chimici.
Partiti i leader, Johnson con un jet privato, con la scia delle promesse e delle telecamere al seguito, il negoziato riprende secondo le tradizioni, ma forse in uno stato d’animo più intenso. La giornata ha visto sessioni di consultazione su molti dei principali punti all’ordine del giorno, la finanza, all’ordine del giorno, e l’articolo 6, il temibile punto sui mercati del carbonio. Sono stati avviati con un successo ineguale i negoziati sui cinque dei punti dell’agenda finanziaria. Sulla guida al Green Climate Fund, GCF, dopo la grande esibizione di dollari dei primi due giorni, i paesi non hanno potuto accettare di dare ai copresidenti un mandato per sviluppare una bozza di testo. Risuona l’eco dell‘intervento del primo ministro delle Barbados Mottley di lunedì: “Il fallimento nel fornire i finanziamenti critici e quello delle perdite e dei danni è misurato, amici miei, nelle vite e nei mezzi di sussistenza nelle nostre comunità. Questo è immorale ed è ingiusto”. Bloomberg riferisce che Greta Thunberg ha usato la giornata finanziaria della COP 26 di ieri per far sentire la sua presenza. Greta e altri attivisti di Greenpeace e dell’Indigenous Environmental Network hanno interrotto un panel sulle compensazioni di carbonio con gli alberi da piantare (offsetting) per protestare contro il greenwashing e i pericoli di fare affidamento sui crediti di emissione.
Nel cuore del negoziato sono state discusse le questioni relative alla finanza, a cominciare dalla compilazione e relazione di sintesi sulle comunicazioni biennali ai sensi dell’articolo 9.5 dell’accordo di Parigi (trasparenza finanziaria). Sul Rapporto e le linee guida per il GCF, l’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), ha sottolineato la necessità di evidenziare le sfide uniche che i piccoli stati insulari in via di sviluppo devono affrontare nell’accesso ai finanziamenti per il clima, tra cui la mancanza di finanziamenti per perdite e danni e gli elevati costi di transazione delle domande di progetto. Citando una proposta di progetto che attende da quattro anni una decisione di finanziamento, il Malawi, per i paesi meno sviluppati (PMA), ha indicato che i fondi non sono sempre accessibili e ha chiesto di riconsiderare le procedure di accreditamento progetto per progetto. La Colombia, (AILAC), ha proposto diverse idee di miglioramento per il GCF tra cui: efficienza e trasparenza; finanziamento di progetti con co-benefici; aumentare le sovvenzioni ai paesi indebitati a reddito medio e medio-alto e fornire prestiti in valute nazionali. Il gruppo è stato sospeso, poiché, come anticipato, le parti non erano d’accordo sulla possibilità che i copresidenti potessero emettere un nuovo testo che fungesse da base per i negoziati.
Nel SBSTA sono state discusse questioni metodologiche nell’ambito dell’accordo di Parigi: i formati tabulari comuni (CTF) per monitorare i progressi nell’attuazione e nel raggiungimento degli NDC; le tabelle di rendicontazione comuni per le relazioni sull’inventario nazionale; gli schemi di relazioni biennali sulla trasparenza (BTR), i documenti di inventario nazionale (NID) e le relazioni di revisione tecnica di esperti (TERR). Nel corso della giornata sono state affrontate le prime difficoltà in merito all’Articolo 6 di Parigi e quindi al mercato del carbonio. Per tutta la giornata, le parti hanno scambiato opinioni sulla bozza di testo in consultazioni informali. I punti in discussione sono l’Articolo 6.2, sulle opzioni di mitigazione trasferite a livello internazionale, ITMO; sull’ambizione di cui al punto 6.2, laddove diversi hanno sostenuto il principio di nessun aumento netto delle emissioni dei partecipanti; sull’Articolo 6.4 (meccanismo); sull’Articolo 6.8 (approcci non di mercato) e sulle fonti di informazione accreditate per l’inventario globale previsto per il 2023. L’ultima versione del testo negoziale, che è stata rilasciata martedì sera, include 373 sezioni tra parentesi quadre, in cui i paesi non sono d’accordo e stanno valutando diverse opzioni. In effetti, la gamma di opzioni proposte dai paesi è aumentata dagli ultimi colloqui sul clima nel 2019. Anche se il Regno Unito riuscisse a ottenere un accordo sull’Articolo 6, ci sono poche possibilità che venga accolto con favore dagli attivisti che sostengono che i governi dovrebbero concentrarsi sulla riduzione delle emissioni in casa propria, piuttosto che cercare di aggirare il problema con i permessi di emissione.
Nei settori tecnici si è riaperto il discorso sui piani di adattamento nazionali (NAP) e sui relativi fondi. Toccata anche la questione dei common time frames, cioè della tempistica, quinquennale, decennale o altro, per l’aggiornamento degli NDC che adombra la difficoltà di avere un quadro di valutazione degli impegni di abbattimento sincronizzato nel tempo. Discussioni informali ci sono state sul Koronivia Joint Work on Agriculture (KJWA).