Resoconto tecnico
Land use and forestation. Mille interrogativi nel giorno dedicato ai sistemi naturali
di Toni Federico
La strada e il negoziato oggi hanno preso due direzioni diverse. In strada decine di migliaia di manifestanti, se ne valutano a fine giornata 250.000, chiedono giustizia per il clima. Oggi come venerdì, le attenzioni dei media, sono tutte per loro. Decine di filmati circolano sul web. Piove. Perfino la televisione italiana ha servizi su tutti i canali, più attenti all’indiscutibile glamour delle manifestazioni giovanili che alla diffusione di una informazione corretta, grande assente finora.
Al chiuso del Campus oggi ci si dedica alla natura e alle modalità naturali per contenere e mitigare le emissioni di CO2. Arriva la notizia che il Congresso degli Stati Uniti ha dato il via libera al piano di infrastrutture del Presidente Biden da 1,2 triliardi di dollari, dai quali derivano gli ingenti fondi per il clima e per l’ambiente, 550 miliardi, annunciati da Biden nella sessione di apertura. Negli eventi al di fuori dei negoziati intergovernativi, il tema della giornata era la natura, sia il mare che il verde degli alberi. Una tavola rotonda su Blue Finance ha riunito i governi, il settore privato e la società civile per discutere di soluzioni pronte per gli investimenti basate sulla natura. Un evento sulla natura e l’uso del suolo ha riunito scienziati, popolazioni indigene e governi per esplorare come lavorare con la natura che può aiutare a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Un evento della presidenza ha discusso della roadmap del commercio di prodotti agricoli e forestali (FACT, Forest, Agriculture and Commodity Trade), un nuovo piano di collaborazione per sfruttare il commercio sostenibile di prodotti agricoli per affrontare la deforestazione. Il suo lavoro include il sostegno ai piccoli proprietari e il miglioramento della tracciabilità e della trasparenza nelle catene dei prodotti. Ci sono poi stati:
- Un invito all’azione per gli oceani: verso la salute e la resilienza degli oceani;
- L’Agenda d’azione globale Climate Shot per l’innovazione in agricoltura;
- Eventi di azione globale per il clima sull’uso del suolo e sul monitoraggio di azioni credibili per il clima.
Comincia in mattinata il Presidente Johnson ad esortare i leader mondiali a impegnarsi a intraprendere azioni radicali per invertire il catastrofico degrado delle foreste mondiali. Non esiste una risposta credibile alla crisi climatica che non implichi la protezione e il ripristino della natura su vasta scala. A livello globale, soluzioni basate sulla natura come foreste, mangrovie e torbiere potrebbero fornire circa un terzo delle soluzioni più efficaci ed economiche alla crisi climatica, oltre ad aiutare le comunità ad adattarsi agli ormai inevitabili cambiamenti. Attualmente attirano solo il 3% del totale dei finanziamenti globali per il clima. Perdiamo circa 30 campi da calcio di foresta ogni minuto, distruggendo complessi sistemi naturali che sostengono centinaia di milioni di persone e di specie viventi.
Il Regno Unito, dice Lord Goldsmith (International Minister for the Environment, in figura), ha creato una coalizione di paesi impegnati a porre fine alla deforestazione entro la fine di questo decennio. Più di 100 paesi hanno firmato la dichiarazione sulle foreste e l’uso del suolo, che rappresentano l’85% delle foreste del mondo. Abbiamo mobilitato, dice, impegni finanziari senza precedenti: 19,2 miliardi di dollari, 12 dei quali dai governi, e almeno 7,2 miliardi di investimenti privati e da filantropi. Abbiamo sollecitato le grandi banche multilaterali di sviluppo, inclusa la Banca Mondiale, a impegnarsi non solo ad allineare le loro politiche con gli obiettivi di Parigi, ma a riconciliare i loro interi portafogli con la natura. Attualmente, gli incentivi a favore della distruzione delle foreste superano gli incentivi per proteggerle di 40 a 1. Ci siamo assicurati un impegno pubblico da parte dei maggiori acquirenti di materie prime del mondo a smettere di acquistare prodotti coltivati su terreni deforestati. E poiché la produzione di materie prime è responsabile della stragrande maggioranza della deforestazione, abbiamo riunito 28 paesi chiave, produttori e consumatori, che rappresentano i tre quarti del commercio mondiale di prodotti come olio di palma, soia, cacao, carne bovina e legname per impegnarsi a rompere il legame tra catene di approvvigionamento di materie prime agricole e deforestazione, come stiamo facendo attraverso la legislazione qui nel Regno Unito. Inoltre, le principali istituzioni finanziarie, responsabili di circa 8,7 trilioni di dollari di asset, si impegneranno pubblicamente a eliminare dai loro portafogli la deforestazione per approvvigionare materie prime e a sostenere in trasparenza il passaggio verso la produzione sostenibile di materie prime agricole. Infine, dobbiamo sostenere le comunità indigene che hanno difeso le loro case nella foresta per generazioni, senza supporto o riconoscimento significativi e spesso di fronte di gravi minacce. Le terre delle popolazioni indigene ospitano più di un terzo dei territori forestali vergini e quasi un quarto del carbonio immagazzinato nelle foreste tropicali del mondo. Oggi abbiamo assicurato 1,7 miliardi di dollari per aiutare quelle comunità a salvaguardare il possesso della terra che è già loro di diritto.
Per comprendere il ruolo delle foreste e dei suoli, ai sensi della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici il tasso di accumulo di CO2 nell’atmosfera può essere ridotto sfruttando il fatto che la CO2 atmosferica può accumularsi negli ecosistemi terrestri sotto forma di carbonio nella vegetazione e nei suoli. Qualsiasi processo, attività o meccanismo che rimuove un gas serra dall’atmosfera viene definito sink (pozzo). Le attività umane impattano sui pozzi terrestri, attraverso l’uso del suolo, il cambiamento di uso del suolo e le attività forestali (LULUCF), impattando di conseguenza sul ciclo del carbonio, cioè sullo scambio di CO2, tra il sistema della biosfera terrestre e l’atmosfera. Fa testo un Rapporto speciale IPCC su cambiamento climatico, desertificazione, degrado del suolo, gestione sostenibile del territorio, sicurezza alimentare e flussi di gas serra negli ecosistemi terrestri. I recenti dati del Global Carbon Project ci dicono però che oggi il bilancio degli assorbimenti LULUCF è negativo ed è equivalente stabilmente a 6 Gt di emissioni di CO2 ogni anno (Barbabella, Italy4climate). In valori assoluti, viceversa, i pozzi di CO2 terrestri e oceanici combinati hanno continuato ad assorbire circa la metà (53% nell’ultimo decennio) della CO2 emessa nell’atmosfera. A livello globale, durante il decennio 2011-2020, i cambiamenti climatici hanno però ridotto l’assorbimento del suolo di circa il 15% e quello degli oceani di circa il 5%.
Questo è il quadro che sta sotto al negoziato di Glasgow sul mercato del carbonio e sui permessi di emissione. Da un lato ci sono soggetti e paesi con larghe carbon footprint (in figura). Dall’altra i detentori di risorse forestali premono per tramutare i loro sink in altrettanti permessi commerciabili su un mercato mondiale tutto da costruire. Ne è un esempio la Russia, refrattaria ad ogni approccio di abbattimento, ma ricca di risorse naturali. Altri casi poco raccomandabili sono sotto gli occhi di tutti, come il Brasile che sta deforestando in maniera irresponsabile la foresta amazzonica ma ritiene di avere permessi da vendere.
La pratica della compensazione delle emissioni è già in realtà molto diffusa, anche nei paesi sviluppati e da noi. è una pratica per ora volontaria e prevalentemente non-market che va sotto il nome di carbon offsetting. Piantare più alberi è una metodologia molto comune per compensare le emissioni di imprese ed iniziative. Tuttavia sono diversi i dubbi su queste pratiche, su cui pesa peraltro la mancanza di uno standard condiviso a livello internazionale e di sistemi di controllo affidabili, in particolare in riferimento alla credibilità dei crediti di carbonio in relazione ala fatto che a questi corrisponda effettivamente un assorbimento addizionale (che non ci sarebbe stato senza intervento) e permanente (in modo che la CO2 assorbita non torni in atmosfera annullando di fatto la compensazione.
A Glasgow, pertanto, gran parte del successo sarà alla fine legato alla conclusione del negoziato sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, come più volte abbiamo ricordato nei resoconti dei giorni precedenti. Il negoziato che si occupa delle regole per i mercati del carbonio, come ampiamente previsto, è diventato una delle parti più difficili da finalizzare dell’accordo sul clima di Parigi. Sei anni dopo che l’accordo è stato siglato, i paesi sembrano finalmente fare qualche progresso e si parla persino di una svolta su questa che è la questione che è stato impossibile concludere a Madrid due anni fa. Gli osservatori affermano che Brasile e India potrebbero essere disposti a rinunciare alle richieste di conteggiare i loro vecchi crediti di carbonio accumulati in base ai precedenti meccanismi di Kyoto, che molti vorrebbero privi di valore. Il prezzo per questo potrebbe essere che le nazioni ricche concedano ai paesi poveri una quota dei proventi delle transazioni del mercato del carbonio per finanziane l’adattamento ai cambiamenti climatici, ma finora questa è stata una linea rossa per gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che si dimostrano intransigenti. Un accordo sull’articolo 6 è considerato cruciale perché molti paesi e aziende mirano a ridurre le loro emissioni a zero netto entro il 2050. Ciò richiede di bilanciare le emissioni residue con una quantità uguale di carbonio che possono dire che viene catturato con certezza altrove, con gestioni forestali o con mezzi tecnologici.
Il negoziato: Oggi gli organi sussidiari, il SBSTA, scientifico, e il SBI, operativo completano i lavori sui temi loro assegnati, tra cui finanza, trasparenza e articolo 6. Le discussioni finanziarie sono proseguite durante tutto il giorno. Il pletorico testo licenziato sul nuovo obiettivo collettivo quantificato di finanziamento del clima, post Copenhagen, mostra quanto distanti su questo tema siano i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo sono. Sull’articolo 6, il mercato del carbonio, i negoziatori restano convinti che una decisione alla fine sarà presa. I documenti rilasciati finora sono zeppi di parentesi quadre. Col progredire della giornata, l’elenco dei punti irrisolti è diventato più chiaro: finanza, articolo 6, questioni di trasparenza e tempi comuni per gli NDC ai sensi dell’accordo di Parigi e anche perdita e danno, l’obiettivo globale sull’adattamento e le misure di risposta. I testi risultato dei lavori della prima settimana andranno alla “ministeriale” della seconda per arrivare alle sospirate conclusioni. I negoziatori per la trasparenza erano ansiosi di assicurarsi dell’altro tempo prima inviare il testo ai ministri. I negoziatori dell’articolo 6, pure loro, sono desiderosi di continuare in modalità tecnica e ridurre le opzioni per i ministri. Forse dei facilitatori ministeriali, nominati dalla Presidenza, potrebbero fare la spola con i gruppi tecnici la prossima settimana. Ci sono dei limiti a ciò che il lavoro tecnico può dare, ed a volte è necessaria una guida a livello politico per aiutare a finalizzare le regole tecniche. Le questioni inoltrate alla seconda settimana della conferenza per ulteriori negoziati includono:
- L’Articolo 6 (approccio cooperativo);
- La trasparenza;
- Perdita e danno;
- Le misure di risposta;
- L’adattamento;
- I tempi comuni per i contributi determinati a livello nazionale (NDC).
Si tratta di una lunga lista di problemi da affrontare nella prossima settimana, che è la stessa del pacchetto finale della COP 26. I negoziati si svolgeranno in consultazioni agevolate dai ministri, ulteriori colloqui tecnici e consultazioni guidate dalla presidenza. L’esatto equilibrio tra questi tre approcci sarà più chiaro lunedì, quando la Presidenza comunicherà i suoi piani nel corso della sessione di stocktacking.
Per tutta la giornata sono proseguite le trattative finanziarie. La maggior parte di questi negoziati sono a carico degli organi di governo, COP, CMP (Parigi) e CMA (Kyoto) e non dei due organi sussidiari. Non avevano quindi la scadenza di concludere oggi, ma hanno ancora un enorme carico di lavoro di questioni spinose da risolvere. La giornata ha registrato diversi appelli dei paesi in via di sviluppo affinché i finanziamenti per il clima siano di migliore qualità e quantità. L’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 non è stato ancora raggiunto e alcuni paesi in via di sviluppo hanno sottolineato che i finanziamenti per il clima non possono essere sotto forma di prestiti che aumentano l’onere del debito dei paesi poveri e vulnerabili, in particolare a causa della pandemia. I paesi sviluppati hanno sottolineato i loro sforzi per fornire e mobilitare maggiori finanziamenti per il clima e per migliorare la trasparenza dei loro piani per fornire finanziamenti, come un modo per migliorare la prevedibilità dei flussi di finanziamento per il clima, attraverso relazioni biennali ai sensi dell’articolo 9.5 dell’Accordo di Parigi.