Cop 26 day by day – Lettere da Glasgow | Day 7

A Glasgow il Paese ombra dei combustibili fossili

di Antonio Cianciullo

L’articolo 6 del documento finale è il cuore della trattativa alla conferenza sul clima di Glasgow. Ma è un segreto ben nascosto. Si parla di meccanismi economici ed è un tasto delicato. Per l’ala più radicale del movimento ambientalista, piccola ma con la voce alta, bisogna far diminuire la produzione, altro che rafforzarla dando spazio alle industrie green. E per il fronte dei fossili ogni anno di business as usual è un anno di buoni profitti, dunque meglio tergiversare. Due punti di vista che convergono nel desiderio di screditare il processo negoziale.

Processo che per la verità presta il fianco a molte critiche e nell’arco dei prossimi giorni rischia molto. Tuttavia l’obiettivo da raggiungere è razionale e difficilmente accusabile di estremismo. La produzione di gas serra è una forma di alterazione degli ecosistemi simile a quella prodotta da altri inquinanti da tempo regolamentati in maniera più o meno severa (da forme di disincentivo economico al divieto). Simile ma su scala ben diversa. Molti degli inquinanti su cui i vari Parlamenti si sono esercitati hanno prodotto effetti gravi ma su scala locale e spesso temporalmente limitata. I gas serra invece agiscono su scala globale e hanno effetti misurabili nei secoli.

Dunque calcolare il costo di questa forma di inquinamento prodotta e farla pagare agli inquinatori appartiene alla logica di mercato. Dare regole trasparenti e certezza di diritto al mercato delle emissioni di carbonio è la soluzione moderata, non quella estremista che – a fronte di un rischio così ampio nel tempo e nello spazio – prevede un divieto secco come quello utilizzato per molti altri inquinanti, dal piombo nella benzina ai pesticidi più pericolosi.

Questo quadro fatica a emergere anche perché, a rendere meno limpide le acque del dibattito, si stanno muovendo in tanti. La Bbc ha riportato una notizia curiosa. Un dato fornito dalla ong Global Witness. Alla Cop di Glasgow il Paese più rappresentato è un Paese ombra, il Paese dei produttori di combustibili fossili. Ci sono più delegati associati all’industria dei combustibili fossili di quelli che rappresentano i singoli Paesi durante i lavori della conferenza Onu sul clima.

Gli attivisti hanno controllato gli elenchi dei partecipanti e individuato, tra gli accreditati, ben 503 persone con legami con il settore dei fossili. Per fare un confronto, il Brasile, che ha il numero più alto di delegati tra i Paesi invitati, ne ha 479, mentre il Regno Unito, che organizza la conferenza, ne conta 230.

Non è l’unico segnale preoccupante. Dopo avere rifiutato di firmare l’impegno ad eliminare l’uso del carbone concordato da 40 Paesi, l’Australia ha rincarato la dose, sostenendo che continuerà a vendere carbone per decenni. “Abbiamo detto molto chiaramente che non chiuderemo le miniere di carbone e non chiuderemo le centrali a carbone”, ha detto il ministro australiano delle risorse Keith Pitt all’emittente ABC. Secondo l’esponente del governo australiano, la domanda di carbone dovrebbe aumentare fino al 2030.

E Greenpeace ha accusato l’Arabia saudita di lavorare per boicottare la conferenza, privandola di ogni contenuto di cambiamento. Dopo un’analisi effettuata sulla prima bozza del testo relativo alle decisioni finali, il giudizio dell’associazione ambientalista è che al momento si tratta di acqua fresca: “Non menziona i combustibili fossili, nonostante il consenso degli esperti sulla necessità di porre immediatamente fine a nuovi progetti per lo sfruttamento di carbone, petrolio e gas se si vuole raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi”.

A provare a riportare la Cop con i piedi per terra ieri è stato Obama che si diretto ai giovani (in un tweet Vanessa Nakate aveva polemizzato con lui: “Signor Obama, quando avevo 13 anni lei ha promesso 100 miliardi per la finanzi climatica. Gli Stati Uniti non hanno mantenuto quella promessa e questo costerà delle vite in Africa”):  “Avete ragione a essere arrabbiati, la mia generazione non ha fatto abbastanza. L’energia più importante di questo movimento viene dai giovani”.

“Il tempo sta scadendo: abbiamo fatto significativi progressi dall’accordo di Parigi ma dobbiamo fare di più. Siamo lontanissimi da dove dovremmo essere”, ha aggiunto l’ex presidente americano. “E’ stato molto scoraggiante vedere i leader di due dei maggiori Paesi emettitori, Cina e Russia, rifiutarsi persino di partecipare ai lavori, i loro piani nazionali riflettono quella che appare una pericolosa mancanza di urgenza”, ma d’altra parte per la lotta ai cambiamenti climatici “abbiamo bisogno di Russia, Cina e India”, “non possiamo lasciare in panchina nessuno”.

Resoconto tecnico

Dopo il discutibile stocktaking del presidente Sharma, adattamento e loss and damage danno inizio ad una settimana difficile

di Toni Federico

La domenica è servita per i commenti sulla prima settimana della COP 26. Sulla stampa internazionale, un po’ meno su quella italiana come tradizione, è un diluvio. Impossibile riferire di questa moltitudine di opinioni e di pareri. Se un commento ci è permesso, a valle di un numero estenuante di letture di giornali e di blog, la nostra impressione è che ci sia una più grande attenzione nel mondo e che si manifestino delle linee di leggero ottimismo da una parte, ma che da un’altra, non piccola, si stia preparando una trappola: dichiarare il fallimento della COP 26 e spingere sulla frustrazione per riaccreditare il gas fossile come carburante della transizione, o il nucleare presunto innovativo e la cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) come le vere soluzioni tecnologiche per l’azzeramento delle emissioni. O, più semplicemente, per ritardare ancora l’azione. Non bisogna andare tanto lontano, sono voci di casa nostra. Se, per fare un esempio, si legge il Corriere della sera di oggi, è tutto un fiorire di un educato negazionismo e di scetticismo ed ironia sugli impegni ecologici e finanziari annunciati a Glasgow. Intanto oggi il Washington Post ha denunciato che ci sono frodi generalizzate nel conteggio delle emissioni di molti paesi che equivarrebbero, dai calcoli del giornale, a qualcosa come da 8 a 13 GtCO2eq ogni anno, compromettendo gravemente i trend di mitigazione da Parigi ad oggi.

è venuto oggi a Glasgow il Presidente Obama, padre dell’Accordo di Parigi. Sono stati compiuti progressi significativi dall’Accordo di Parigi del 2015 ma, dice intervenendo nel pomeriggio, non abbiamo fatto abbastanza. Non siamo affatto vicini a dove dovremmo essere. Obama ha cercato di tagliare il nodo gordiano della trattativa con un discorso di grande visione, implorando i negoziatori sia di esplicitare i risultati raggiunti finora, sia di spingere per ottenere di più. Nel suo discorso rivolto tanto alle persone che osservano ed ascoltano dall’esterno della conferenza, quanto agli stessi negoziatori, Obama ha affermato che risolvere la crisi climatica sarà un lavoro lungo. Non ha mancato di aggiungere che è stato particolarmente scoraggiante vedere i leader di due dei più grandi emettitori del mondo, Cina e Russia, rifiutarsi di partecipare ai lavori. I loro piani nazionali sembrano riflettere una pericolosa mancanza di urgenza e la volontà di mantenere lo status quo, ed è un peccato. Obama ha lanciato critiche ai politici repubblicani statunitensi, affermando che sia lui che Joe Biden erano stati vincolati in gran parte dal fatto che uno dei loro due maggiori partiti ha deciso non solo di sedersi in disparte, ma di esprimere un’attiva ostilità verso la scienza del clima e fare del cambiamento climatico una questione di parte. Sono stati quattro anni di ostilità attiva dell’ex presidente Donald Trump nei confronti della scienza del clima. Altrove, secondo il Guardian, in una riunione privata dei ministri della High Ambition Coalition (HAC), Obama ha detto che ciò che l’HAC sta cercando di realizzare  è vitale… Vi siete riuniti ancora una volta per parlare non solo della necessità di arrivare a 1,5 °C, ma anche di fornire i fondi di adattamento necessari per coloro che potrebbero finire per pagare il prezzo più alto per azioni che loro stessi non hanno intrapreso. Secondo il giornale, questo ha dato sostegno ai paesi in via di sviluppo che spingono per il rispetto dell’Accordo di Parigi e per gli 1,5 °C per i quali Obama ha espresso profonda preoccupazione per i divari tra gli impegni attuali e l’azione necessaria.

Da Glasgow cosa ci si può aspettare? Il risultato più importante della COP 26, come di ogni vertice delle Nazioni Unite, è un testo che tutti i paesi coinvolti sono disposti sottoscrivere. Questo testo esporrà ciò che i paesi avranno promesso di fare. È in effetti un nuovo trattato internazionale. I negoziatori ci hanno lavorato la scorsa settimana, in capo alla quale il risultato appare un coacervo di bozze di documenti, domande, risposte, bozze, battute, cavilli, cavilli sui cavilli, cavilli metatestuali sulla natura del cavillo come concetto e molto altro ancora, tutti disponibili sul sito web della COP 26 alla pagina “documenti”. Una babele nella quale l’uso di una parola sgradita tra milioni può portare a intense discussioni che durano giorni. La difficoltà di fondo è che alla fine ogni paese deve essere d’accordo, altrimenti non ci sarà nessun accordo. Quindi i paesi che sono alla disperata ricerca delle modalità per apportare quei tagli urgenti alle emissioni che hanno promesso, devono sottoscrivere lo stesso testo dei paesi le cui economie attualmente dipendono dalle esportazioni di petrolio, gas o carbone. Facile il gioco, così, no? è il drammatico limite dell’intera istituzione delle Nazioni Unite. Per questo la COP 26 ha i limiti che abbiamo richiamato ripetutamente: si farà quello che sarà possibile, ma i conti si devono fare sulla mobilitazione dell’intero corpo della società civile mondiale. Tutti gli entusiasmanti annunci della scorsa settimana, come l’India che promette di raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2070, sono di fatto esterni ai negoziati formali. Il vero test della COP 26 è quanto sia forte il testo finale e se sarà forte. Quali promesse conterrà? Con quale fermezza verranno applicate? E cosa aggiungerà in termini di emissioni di gas serra e aiuti ai paesi vulnerabili ai cambiamenti climatici? In proposito Laurence Tubiana, uno dei principali artefici dell’Accordo di Parigi ha avvisato, in una conferenza stampa, che secondo lei è il greenwashing  la nuova anima nera del movimento mondiale contro il cambiamento  climatico. Parlare per non fare, ora che gli inquinatori sembrano un po’ alle corde.

La situazione attuale è decisamente incerta. Per arginare i tentativi di aggirare gli impegni presi, sta uscendo forte la proposta di  fare in modo che i paesi rivedano e, se necessario, aggiornino i loro impegni di riduzione delle emissioni (gli NDC) ogni anno, anziché ogni cinque anni, secondo l’attuale programma. Oggi, il presidente della COP 26 Alok Sharma ha affermato che trovare il consenso non sarà semplice. Sharma aveva programmato di tenere un incontro di inventario sabato, per capire dove fossero arrivati ​​i colloqui, ma è poi stato rimandato a oggi. Ora vuole che una bozza del testo principale sia disponibile domani, che i testi siano più o meno finiti entro mercoledì e che le questioni finali vengano risolte giovedì. Ci sono preoccupazioni per i documenti prodotti finora. Uno di questi documenti, emesso domenica mattina dalla Presidenza come traccia per il documento finale e chiamato al solito nonpaper, è un elenco di termini che dovrebbero essere inclusi nel testo principale. È particolarmente grave che non menziona l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Ciò potrebbe significare che il testo della presidenza inglese è attualmente del tutto insufficiente, tanto che la stessa Patricia Espinosa, segretaria esecutiva della Convenzione sui cambiamenti climatici, ha affermato che non riflette né lo stato né le prospettive del negoziato. Il governo del Regno Unito sta ricevendo aspre critiche per questa bozza, da alcuni definita nonsensical, che non fa alcuna menzione delle parole energia, fossile, carburante  o rinnovabile. C’è anche il consueto sforzo per interferire nei negoziati degli interessi costituiti, in particolare dell’industria dei combustibili fossili e dei paesi produttori, sauditi in testa. Un’analisi condotta dalla NGO Global Witness ha rilevato che l’industria dei combustibili fossili ha inviato 503 delegati alla conferenza, più che da ogni singolo paese e più dello stesso paese organizzatore. Greenpeace ha affermato che la delegazione saudita sta cercando di bloccare diversi passaggi chiave. La frustrazione è in agguato, è bene saperlo e prevederlo. Lo stesso Obama ha incoraggiato le persone a trattenere la propria rabbia e ad usarla per continuare a combattere. “Ve lo garantisco, ogni vittoria sarà incompleta”, ha detto. “A volte saremo costretti ad accontentarci di compromessi imperfetti perché anche se non contengono tutto ciò che vogliamo, almeno portano avanti la causa. Ma se lavoriamo abbastanza duramente per abbastanza tempo, quelle vittorie parziali si sommeranno. Se spingiamo abbastanza forte, rimaniamo abbastanza concentrati e siamo intelligenti al riguardo, quelle vittorie accelereranno e creeranno slancio”.

Oggi i due temi in calendario, adattamento e loss and damage sono quelli che, come il mercato del carbonio, appaiono i più lontani da un accordo alla COP 26. Adattamento significa aiutare i paesi e le persone che sono direttamente colpite dai cambiamenti climatici, ad esempio coloro che vivono sulle coste devastate dalle tempeste, ma non solo loro,  a trovare modi per sopravvivere e prosperare. è impossibili che i paesi a basso reddito, che sono spesso in prima linea in questi impatti, ce la possano fare da soli. Un loro rappresentante dice: “Sono stati presi molti impegni. È stato molto stimolante… ma una volta che ti siedi nella stanza dei negoziati, i problemi politici sono ancora sempre gli stessi”. Apparentemente i paesi ad alto reddito stanno spingendo per una versione del testo finale sui finanziamenti a lungo termine come se si stesse iniziando da zero, il che implicitamente significa che non menzionerebbe le promesse esistenti per i 100 miliardi di dollari. La perdita e il danno sono una contraddizione correlata all’adattamento. Si riferisce a danni climatici a cui non ci si può adattare perché sono gravi oltre ogni ragionevole precauzione, quindi l’unica soluzione è risarcire le persone colpite. Perdite e danni sono stati storicamente visti come un problema dirimente, secondo la dichiarazione dello stesso Sharma, ma è dubbio che questo si tradurrà in azioni concrete per compensare le persone danneggiate dai cambiamenti climatici. Nel Campus si dice sottovoce che gli Stati Uniti hanno fatto tutto il possibile per bloccare la discussione sul finanziamento di perdite e danni. A conti fatti finora non è stato raggiunto un accordo accettabile né sui finanziamenti a lungo termine per il clima, né sull’adattamento, né su perdite e danni. Gli impegni su danni e perdite su cui si sta discutendo sono: agire con urgenza, necessità di fondi aggiuntivi, rendere operativo il Santiago Network, una rete per mettere in contatto i paesi in via di sviluppo con aziende e operatori che possano fornire aiuto nell’affrontare la crisi climatica. Troppo poco e troppo tardi.

Il Times riporta oggi che i paesi sviluppati, incluso il Regno Unito, devono affrontare un’azione legale di centinaia di miliardi di sterline per risarcire le nazioni più povere per i danni causati dalle tempeste e dall’innalzamento dei mari causati dai danni climatici. Una coalizione di nazioni insulari, guidata da Antigua e Barbuda e Tuvalu, si sta preparando ad avviare un caso presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia… Molwyn Joseph, ministro dell’ambiente di Antigua e Barbuda, che rappresenta l’Alleanza SIDS delle Small Island States alla COP 26, ha affermato che le sue isole hanno affrontato i peggiori uragani e hanno diritto al risarcimento, non ad una specie di carità aleatoria. Per l’adattamento e per le perdite e i danni, secondo alcuni, il tempo sta per scadere ed è già scaduto per molti altri. Mentre le persone in prima linea nel cambiamento climatico stavano raccontando le loro storie, dalla perdita delle loro case all’innalzamento del livello del mare fino alle perdite di mezzi di sussistenza che una siccità persistente può portare, un gruppo di delegati dei paesi in via di sviluppo esprimeva la forte preoccupazione che l’adattamento e le perdite e i danni possano essere declassati nel pacchetto finale di Glasgow. Benché i due temi, a differenza dei temi della decarbonizzazione, abbiano avuto un posto di rilievo nel nonpaper programmatico della Presidenza, questi delegati avrebbero preferito una definizione sostanziale dei due punti nel testo, piuttosto che quella debole dichiarazione politica.

Oggi, nel primo dialogo ministeriale ad alto livello sulla finanza climatica, il presidente della COP 26 Sharma ha sottolineato che la finanza è un pilastro essenziale dell’accordo di Parigi e ha riconosciuto la necessità di mobilitare migliaia di miliardi, insieme al settore privato, per soddisfare le esigenze di adattamento dei paesi in via di sviluppo e compiere progressi verso l’accordo su un obiettivo finanziario post 2025. Sul miglioramento della prevedibilità dei finanziamenti per il clima, i relatori hanno evidenziato: la necessità di informazioni dettagliate che disaggregano i finanziamenti per l’adattamento; chiarezza sulle tipologie di strumenti, con preferenza per le sovvenzioni rispetto ai prestiti; processi semplificati e tempi di erogazione più brevi per facilitare l’accesso; coinvolgimento delle comunità locali e metodologie chiare per monitorare i progressi, anche attraverso una definizione concordata di finanziamenti per il clima. Sulla finanza per l’adattamento, i relatori hanno discusso, tra gli altri, il rischio di catastrofi e le assicurazioni del raccolto per l’adattamento nel settore agricolo; le riforme normative per i paesi in via di sviluppo per migliorare la mobilitazione delle risorse interne; l’integrazione dell’assessment della resilienza in tutti i settori e l’urgenza porre fine ai sussidi ai combustibili fossili, che non solo favoriscono il cambiamento climatico, ma costituiscono anche una distorsione del mercato che disincentiva lo sviluppo a basse emissioni di carbonio. Sulle tendenze future, i relatori hanno dichiarato che la finanza deve fluire da tutte le fonti, pubbliche e private, nazionali e multilaterali, con l’intero sistema finanziario e una combinazione di diversi strumenti necessari per fornire finanziamenti su larga scala. è stata richiamata l’attenzione sul fatto che i numeri sono importanti, affermando che i paesi vulnerabili hanno accumulato debiti per ricostruire dopo i disastri legati al clima, mentre i paesi sviluppati hanno potuto spendere trilioni per il loro quantitative easing. In tutti i panel del negoziato è stata condivisa la necessità di colmare il divario aumentando i finanziamenti per l’adattamento e riducendo le barriere all’accesso; il ruolo della finanza pubblica nel moderare i rischi degli investimenti e nella mobilitazione dei finanziamenti del settore privato e passare da approcci basati su progetti a approcci programmatici per supportare le trasformazioni settoriali. Anche per l’adattamento è il tempo dei pledges: oggi i paesi hanno annunciato stanziamenti di 232 milioni di dollari per il Fondo per l’adattamento, più del doppio della precedente cifra annuale più alta. Di questi, 20 milioni di dollari provengono dal Regno Unito, con altri contributi forniti da Stati Uniti, Canada, Svezia, Qatar e Germania, tra gli altri. Il Regno Unito ha annunciato 390 milioni di dollari in finanziamenti per l’adattamento dal suo budget per gli aiuti esteri.  Non c’è invece alcun finanziamento separato stanziato per perdite e danni. Il primo ministro delle Barbados Mia Mottley ha definito la mancanza di supporto come immorale. Chiedere a chi è in prima linea del cambiamento climatico di pagare i danni è come chiedere ai passeggeri di un incidente d’auto di pagare, piuttosto che all’autista, ha detto al summit. Un testo di perdite e danni pubblicato nel fine settimana è stato rimandato per essere riscritto. Gli altri eventi della giornata hanno incluso:

  • Eventi della presidenza sull’azione di adattamento e sull’approfondimento di perdite e danni;
  • Dialogo tra i contributori del Fondo di adattamento e riflessioni dei destinatari dei fondi e degli stakeholder;
  • Eventi di azione globale per il clima che analizzano cosa significa resilienza nella pratica;
  • Eventi dell’hub per lo sviluppo della capacitazione dei paesi svantaggiati dell’UNFCCC.

Oggi il negoziato si è faticosamente avviato sul nuovo obiettivo collettivo di finanziamento del clima post-2025. I paesi sviluppati vedono la questione come in gran parte procedurale, cioè il negoziato non dovrebbe prefigurare il risultato. I paesi in via di sviluppo, d’altra parte, hanno iniziato a mettere i numeri sul tavolo. Le nazioni africane e un gruppo di 24 Like minded, gruppo negoziale che include Cina e India, chiedono la mobilitazione di almeno 1.300 miliardi di dollari ogni anno per il resto del decennio. Almeno la metà del denaro dovrebbe essere destinata all’adattamento e almeno 100 miliardi dovrebbero essere erogati in sovvenzioni. Il capo negoziatore per la Guinea, che ha parlato a nome di un gruppo di 77 paesi in via di sviluppo e della Cina, ha detto alla plenaria che finanziamenti adeguati e affidabili sono una precondizione affinché le nazioni vulnerabili rafforzino i loro piani climatici. I paesi in via di sviluppo vogliono una tabella di marcia chiara per negoziare l’obiettivo finanziario post 2025 e un elenco di argomenti che verranno discussi. Un processo che si concentri su workshop senza obiettivi chiari o discussioni vaghe fino al 2024 non è accettabile secondo loro. Il paradosso è che questi argomenti sono imbarazzanti per le grandi economie emergenti, tra cui Cina e India: a chi dovrebbe essere chiesto di fornire finanziamenti su larga scala? Un diplomatico indiano ha affermato che le domande sollevate su chi sarebbero i fornitori di risorse sono motivo di preoccupazione. L’India sostiene che   la responsabilità dei paesi sviluppati non è certo diminuita, non avendo ancora rispettato l’impegno di mobilitare $ 100 miliardi all’anno a partire dal 2020. Le controversie procedurali e le interpretazioni legali dell’accordo di Parigi potrebbero mettere la Cina in difficoltà per dover fornire finanziamenti. Altre economie emergenti più ricche, che stanno già fornendo aiuti ai più vulnerabili, come la Corea del Sud e il Messico, desiderano che i loro contributi vengano conteggiati. Ma la Cina vuole che il suo aiuto rimanga volontario.

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