Resoconto tecnico
Le donne, protagoniste nelle piazze contro il cambiamento climatico e minoranza entro le mura della COP 26. A notte inoltrata la presidenza avanza una prima coraggiosa bozza del doccumento finale sotto la spinta di UE e Stati Uniti. Sarà battaglia
di Toni Federico
Oggi è il giorno dedicato alla questione femminile. Un evento della presidenza è stato dedicato in mattinata all’azione per il clima per la salute e sull’avanzamento dell’uguaglianza di genere. In occasione del Gender Day, la COP 26 si è concentrata sugli impatti climatici sproporzionati subiti da donne e ragazze in tutto il mondo. “Il cambiamento climatico è sessista”, ha affermato martedì un funzionario del governo degli Stati Uniti. Secondo l’UNFCC, Oltre il 70% dei poveri del mondo è rappresentato da donne, così come l’80% delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico sono donne e bambini. In Bangladesh, durante le alluvioni, molte donne sono morte per annegamento aspettando i mariti, senza i quali non potevano uscire di casa, invece di mettersi in salvo. E l’Europa? Durante l’ondata di caldo del 2003, solo il 25% dei deceduti era di sesso maschile. Non va meglio negli Stati Uniti. Durante l’uragano Kathrina nel 2005, più di metà dei nuclei familiari poveri era costituito da madri single, dipendenti dalle reti sociali e di solidarietà, ma le donne e le ragazze stanno guidando oggi gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico nelle comunità di tutto il mondo, ha affermato il presidente Sharma mentre delineava gli impegni per un finanziamento climatico sensibile al genere. Qui alla COP 26 le donne nelle delegazioni sono aumentate, passando dal 12% in media delle prime edizioni al 38% di oggi. Yemen, Turkemnistan, Corea del Nord e Vaticano hanno compagini completamente maschili. Ma anche il Giappone non brilla: tra 225 delegati, solo 45 sono donne. Maglia rosa, invece, a Moldavia (89%), Samoa (79%) e Messico (78%), che registrano la più alta presenza femminile. Nel complesso, però, la questione di genere non sembra aver molo scaldato gli animi all’interno del Campus. Gli omaggi sono stati alquanto rituali.
Nelle sale di negoziazione è proseguito il lavoro sulla decisione finale del vertice il cui stato è al momento quanto mai deludente e contrastato. La presidenza britannica ha dichiarato che pubblicherà una prima bozza della decisione finale del vertice durante la notte (vedi più avanti). Finora sono stati presentati nuovi testi su tempistiche, trasparenza, finanza e adattamento. “Abbiamo ancora una montagna da scalare”, ha avvertito Sharma. Il testo finale specificherà come i paesi hanno promesso di rivedere i loro piani climatici per il 2030. I contenuti saranno cruciali per mettere il mondo sulla strada per gli obiettivi di Parigi. Il testo principale deve essere forte, perché gli annunci fatti al vertice non hanno risolto il problema.
Le nuove previsioni rilasciate martedì suggeriscono che il mondo è ancora lontano dall’obiettivo di Parigi. Il Climate Action Tracker ha rimesso tutto in discussione, affermando che le attuali politiche climatiche ci mettono sulla strada per un spaventoso riscaldamento di 2,7 °C, o 2,4 °C se tutti i governi raggiungessero i loro obiettivi per il 2030. Abbiamo dato numeri migliori nei giorni scorsi: Il WRI, ad esempio, era stato il più ottimista calcolando che il rispetto degli annunci fatti a Glasgow ci porterebbe a fine secolo a +1,7 °C, addirittura vicini all’obiettivo massimo di Parigi. Sarà bene che alla fine tutti si chiariscano le idee sui vari scenari. Per capire quali paesi stanno facendo di più e di meno, viene in aiuto l’ultima edizione del Climate Change Performance Index che copre 61 paesi che rappresentano il 92% delle emissioni globali. Non un paese sta facendo abbastanza su tutta la linea. I primi classificati sono Danimarca, Svezia e Norvegia. Anche la Cina è tra i primi 10, dopo aver scalato la classifica interrompendo l’aumento delle emissioni e ampliando e fissando obiettivi ambiziosi sulle rinnovabili. Nel frattempo, i ritardatari climatici includono gli Stati Uniti al 55° posto, l’Australia al 58° e il Canada a 61°. Prima dell’inizio della COP 26, eravamo in rotta per 2,7 °C, quindi le promesse finora abbatterebbero di 0,3°C il riscaldamento totale secondo il CAT. Mentre i leader mondiali e i diplomatici negoziano sul clima nuovi dati mostrano che le emissioni globali di CO2 aumenteranno drasticamente quest’anno, probabilmente superando il massimo storico raggiunto prima della pandemia da Covid-19. Nuovi dati, pubblicati mercoledì scorso sulla rivista Earth System Science Data, evidenziano i fattori chiave che stanno guidando le emissioni globali, incluso il rilancio dell’uso del carbone da parte di Cina e India.
Ancora una volta, anche oggi, le dispute finanziarie hanno occupato gran parte della giornata. Il tempo dedicato a questi temi è il risultato sia della complessità del lavoro, sia delle profonde divisioni tra le posizioni dei paesi sviluppati e di quelle in via di sviluppo. C’era la volontà di impegnarsi su alcune questioni relative alla definizione del nuovo obiettivo di finanziamento collettivo quantificato per il clima. Lo scopo di queste discussioni è stabilire un processo per stabilire l’obiettivo, non assegnare l’obiettivo stesso. C’era più impegno su come portare avanti questo processo, forse attraverso un gruppo di lavoro ad hoc, o un comitato, o una serie di workshop per aiutare i paesi a sviscerare il problema. L’altra arena bollente sono le discussioni sull’adattamento che si sono concentrate sull’obiettivo globale. L’obiettivo globale dell’adattamento, sancito dall’Accordo di Parigi, è una priorità per i paesi in via di sviluppo, che sono più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. A differenza degli obiettivi di temperatura, l’adattamento è più sensibile al contesto, localizzato e, in qualche modo, qualitativo. I colloqui negoziali mirano a istituire un processo che possa chiarire come rendere operativo questo obiettivo e portare verso la parità tra adattamento e mitigazione nel processo climatico delle Nazioni Unite.
In questa seconda settimana, i negoziati sono sempre sul filo del rasoio: a Madrid i paesi sono stati molto vicini all’accordo sull’articolo 6 per il mercato del carbonio e sul timing degli NDC, ma sono usciti a mani vuote. Ora Glasgow non può più fallire e deve completare il Paris Rulebook. Sembra che alcuni elementi si stiano combinando in senso favorevole. I ministri ora hanno due opzioni per i tempi comuni per gli NDC, finora erano addirittura nove. Le discussioni tecniche sull’articolo 6 sono state completate e le parti stanno ora condividendo le preoccupazioni sulle questioni cruciali con i ministri facilitatori di Singapore e Norvegia. Può essere delicato il passaggio dal livello tecnico a quello politico, soprattutto se non tutte le questioni vengono affrontate insieme. Le decisioni spesso arrivano invece ai ministri in pacchetti rendendo loro difficile andare ad una conclusione. L’equilibrio si può rompere su problemi come la governance del meccanismo internazionale di Varsavia su perdite e danni per i quali sono richieste risorse aggiuntive. Sembra che le posizioni siano più radicate che mai, nonostante il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi. La posta in gioco è quale organo della Convenzione debba assumersi le responsabilità, se l’organo di governo dell’Accordo di Parigi CMP da solo, o insieme a quello della Convenzione. E, naturalmente, la pandemia incombe. Dopo che diversi negoziatori, incluso il coordinatore finanziario del G-77/Cina, sono risultati positivi al Covid-19, altri hanno dovuto autoisolarsi. Molti di loro sono i negoziatori chiave per l’esito dei colloqui.
Questa sera il Presidente francese Macron ha trovato il modo (ed il tempo giusto) per annunciare che la Francia costruirà nuovi reattori nucleari. Certo, ognuno vende la propria mercanzia, lui il nucleare, Putin il gas, Bolsonaro l’Amazzonia, tutti insieme la Terra. Il governo del Regno Unito ha impegnato 210 milioni di sterline per nuovi impianti nucleari. Questi sarebbero piccoli reattori modulari Rolls Royce da 470 MW, SMR, ciascuno in grado di alimentare 1 milione di case (o un sottomarino?). Gli SMR sono pensati per essere prodotti in serie e quindi più economici. Il governo metterà dei soldi in anticipo, in cambio di prezzi più bassi dell’elettricità in seguito, per far risparmiare denaro alle imprese. L’unico paese che sta riponendo vera fiducia nel nucleare sembra essere la Cina. La scorsa settimana Bloomberg ha riferito che la Cina sta per costruire almeno 150 nuovi reattori nei prossimi 15 anni, più di quanto il resto del mondo abbia costruito negli ultimi 35 anni. Ciò costerà fino a 440 miliardi di dollari e la Cina supererà gli Stati Uniti. Faranno festa i generali. I quattro paesi citati sviluppano il nucleare da sempre per ragioni militari, come del resto Russia, Israele, Pakistan e India, magari anche l’Iran. Cosi ad un dramma, il clima, se ne aggiunge un altro, con la buona scusa di salvare il mondo dal primo. Grande idea! Un articolo del New York Times si concentra sulle richieste di alcuni leader africani per una transizione più lenta alle energie rinnovabili per i loro paesi, osservando che non ci si può aspettare che rifaranno i loro sistemi così rapidamente come le nazioni ricche. il governo australiano creerà un nuovo fondo da 1 miliardo di dollari per aiutare a commercializzare la tecnologia a basse emissioni, compresa la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) e il carbonio nel suolo. Facile il commento che il debole piano australiano per il cambiamento climatico è guidato da preoccupazioni di politica interna, dove Scott Morrison è stato oggetto di pesanti critiche per proposte che sembrano voler mantenere tranquille le aziende di combustibili fossili e del carbone in particolare.
Oggi è stato anche il giorno dedicato alla scienza e all’innovazione. Scienza climatica e genere si incontrano per la verità poco, ma ci sono alcuni grandi esempi come Corinne Le Quéré (in figura). è una scienziata del clima presso l’Università dell’East Anglia, e studia il ciclo del carbonio e come l’oceano sta rispondendo al riscaldamento globale. È membro dell’IPCC e del Global Carbon Project, un consorzio di scienziati che tiene traccia delle emissioni di carbonio in tutto il mondo e pubblica regolarmente il carbon budget della Terra. Nature dedica oggi un articolo che dà spazio alle opinioni degli scienziati sulla COP 26.
Durante tutta la pandemia, la scienza è stata centrale e il grande pubblico si è confrontato con quella che è la realtà della scienza, le sue certezze e i suoi limiti. Al pari la scienza del clima è una parte fondamentale degli sforzi globali per comprendere e affrontare il cambiamento climatico. Le azioni politiche ed economiche richiedono una adeguata comprensione dei problemi e delle loro complesse interazioni e per tutto questo la scienza ha dato contributi essenzialie più ancora ne darà in futuro. La Giornata della scienza e dell’innovazione alla COP 26 ha cercato di mostrare i molti modi in cui tutti i tipi di scienza contribuiscono ad affrontare la crisi climatica. Un evento in risposta al recente assessment report dell’IPCC sulla scienza fisica ha mostrato come la scienza può aiutare a guarire il pianeta, non solo a diagnosticare i suoi problemi. La conoscenza della realtà sociali indigene è stata al centro della conversazione, poiché la nepalese Pasang Dolma Sherpa ha attirato l’attenzione sul fatto che le popolazioni indigene proteggono l’80% della biodiversità, sebbene rappresentino solo il 6% della popolazione mondiale. Ha detto che i sistemi indigeni della conoscenza devono essere considerati alla pari con altre forme di conoscenza scientifica. Il presidente della COP 26 Sharma ha chiuso il panel, dicendo: “Il futuro non è ancora scritto; possiamo ancora lavorare per mantenere in vita gli 1,5 °C. Ora dobbiamo tradurre gli sforzi degli accademici in un risultato ambizioso e in un decennio di azione, lasciando che la scienza faccia da apripista”. La Giornata della scienza e dell’innovazione ha visto anche il lancio dell’Alleanza per la ricerca sull’adattamento, che riunisce 90 organizzazioni di 30 paesi per aumentare la resilienza delle comunità vulnerabili in prima linea nel cambiamento climatico.
Alle 6 della notte è apparsa la prima bozza del testo della decisione finale di copertura. È una lista dei desideri che incorpora le richieste di una dichiarazione della High Ambition Coalition, approvata dalle nazioni vulnerabili, dagli Stati Uniti e dall’UE. Più che scontata una feroce opposizione dai soliti noti che la vedono come una minaccia ai loro interessi nazionali. La bozza di sette pagine fissa l’obiettivo di 1,5°C come obiettivo di temperatura critica ai sensi dell’accordo di Parigi. La lettera “f” contrassegna i testi che sarebbero introdotti per la prima volta, se adottati. Nella bozza si invitano le parti ad accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili. Nemmeno l’Accordo di Parigi citava i combustibili fossili. La bozza riconosce che mantenere l’aumento della temperatura a 1,5 °C in questo secolo richiede una riduzione delle emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 e a zero netto intorno alla metà del secolo. Esorta i paesi che non hanno ancora presentato contributi nazionali nuovi o aggiornati al raggiungimento dell’obiettivo, a farlo il prima possibile prima della Cop 27 del novembre 2022. Ricorda loro che possono aumentare l’ambizione dei loro piani in qualsiasi momento e li esorta a farlo se necessario per allinearsi all’obiettivo di Parigi ed entro la fine del 2022. Per le vittime dei disastri climatici, il testo esorta i paesi, le organizzazioni internazionali e il settore privato a fornire un supporto rafforzato e aggiuntivo per le attività che affrontano perdite e danni. La bozza di decisione della COP rileva con rammarico che i paesi sviluppati non hanno raggiunto l’obiettivo di 100 miliardi di dollari/anno di finanziamenti per il clima e chiede un aumento delle disposizioni, incluso almeno un raddoppio dei finanziamenti per l’adattamento. Su come impostare un obiettivo finanziario a lungo termine oltre il 2025, c’è solo un segnaposto. Ciò potrebbe suscitare controversie: i paesi in via di sviluppo non vorranno lasciare Glasgow senza un risultato chiaro. Sulla bozza gli africani hanno già detto che da un lato della bilancia, fa avanzare un processo dettagliato per accelerare gli obiettivi di mitigazione del clima, ma, dall’altro, su finanza, perdite e danni, è confuso e vago. Il testo riflette alcuni degli impegni assunti dai leader all’inizio della conferenza. Include un riferimento per ridurre le emissioni non CO2, come il metano, e riconosce l’importanza della protezione e del ripristino delle foreste. Ci sono anche nuove versioni del testo negoziale sull’articolo 6 e sulle regole del commercio di carbonio. È probabile che gli elementi sull’obiettivo di 1,5 °C, la fissazione di una data per tornare con nuovi piani prima del 2025 e il linguaggio sull’eliminazione graduale del carbone vengano accolti con un forte ostilità. Le principali economie emergenti hanno messo in guardia contro l’inclusione di elementi che secondo loro riaprirebbero i negoziati sul trattato di Parigi e che non dispongono di alcun mandato per discuterne all’interno del processo dei cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Possiamo spostare l’attenzione sull’attuazione, se smettiamo di rinegoziare gli elementi dell’accordo di Parigi, aveva detto lunedì in plenaria un diplomatico indiano per conto del gruppo Basic che comprende Brasile, Sudafrica, India e Cina. La strada per un accordo è impervia stanotte.