23 Marzo 2020

Inquinamento dell’aria, forte diffusione e alto numero dei decessi per il coronavirus in Lombardia

Editoriale a cura di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

In Lombardia, con il 16,6% della popolazione nazionale, secondo i dati della Protezione civile del 18 marzo, c’erano stati 17.713 positivi al Covid19, pari al 49,5 % del totale nazionale e ben 1.959 decessi, pari al 65,7 % del totale nazionale. Anche il rapporto fra deceduti e positivi in Lombardia è molto alto, dell’11%; nel resto d’Italia, esclusa la Lombardia, è del 5,6%. In media nella regione lombarda è stata riscontrata una persona risultata positiva al coronavirus ogni 568 abitanti, nel resto delle altre Regioni italiane invece, in media, una persona positiva ogni 2.794 abitanti.

In Lombardia ogni 2,8 tamponi effettuati uno è risultato positivo, nel resto d’Italia uno ogni 6,5. In Lombardia abbiamo finora avuto una persona deceduta per coronavirus ogni 5.135 abitanti, mentre la media nel resto delle Regioni italiane è di una persona deceduta ogni 49.362 abitanti. Nella regione lombarda, quindi, abbiamo avuto una concentrazione molto più alta  della media nazionale di persone risultate positive, di decessi e della percentuale dei decessi rispetto ai positivi. Come mai?

In questa regione c’è un altro record: fra i più alti, persistenti e misurati, livelli di inquinamento dell’aria d’Europa, in particolare da particolato (PM10 e PM2,5), con ripetuti superamenti sia delle concentrazioni, sia dei giorni di elevato inquinamento.

Rielaborando i dati delle ARPA e delle Regioni, Legambiente (Mal’Aria 2018) ha stilato una classifica delle città capoluogo con l’aria più inquinata d’Italia. Delle 15 città capoluogo italiane in testa in questa classifica per l’inquinamento dell’aria, ben 7 – comprese  le prime 3 – sono lombarde: Brescia con 150 giornate di superamento dei limiti per il PM10 o per l’ozono, Lodi con 149, Monza con 140, Milano con 135, Bergamo con 127, Cremona con 127 e Pavia con 115. Si tenga presente che per il nostro ordinamento non si dovrebbe superare il limite giornaliero di 50 microgrammi al metro cubo di PM10 per più di 35 giornate all’anno e che le nuove linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano come limite più sicuro per la salute quello, ben più precauzionale, di 20 microgrammi al metro cubo.

L’esposizione prolungata all’aria inquinata, in particolare da particolato, causa effetti noti, studiati da decenni, che comprendono anche rilevanti aumenti della vulnerabilità delle vie respiratorie nei confronti di virus patogeni. Persone che da più anni sono esposte a livelli elevati di inquinamento dell’aria – quindi anche più anziane – hanno una più alta probabilità di essere colpite da effetti irritanti, infiammatori e da una riduzione della funzione polmonare. Più è alta e prolungata è l’esposizione a PM10, più elevata quindi è la probabilità che il sistema respiratorio sia indebolito e sia più vulnerabile per le gravi complicazioni polmonari generate dal coronavirus.

La stampa ha dato notizia nei mesi di gennaio e di febbraio di quest’anno, prima che si manifestassero gli effetti anche sull’inquinamento del blocco in casa, che c’erano stati ripetuti sforamenti dei livelli del PM10 in numerose città Lombarde.

Mi è stato segnalato uno studio (Inhalable Microorganisms in Beijing’s PM2.5 and PM10 Pollutants during a Severe Smog Event, Cao et al. Environ. Sci. Technol. 2014), di un gruppo di ricercatori cinesi che, in presenza di forti concentrazioni di particolato, ha verificato un incremento di microrganismi patogeni inalabili: di virus e di batteri.

Un gruppo di esperti delle Università di Bologna, Bari, Trieste, Milano e della Società italiana di medicina ambientale, ha appena pubblicato un Position paper (Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione) su questa problematica.

Il particolato atmosferico – si legge in questa Relazione – funzionerebbe da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze.

Il particolato atmosferico costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza.

Servono ulteriori e più approfonditi studi, non tanto per stabilire se, ma quanto l’inquinamento atmosferico, in particolare da particolato, abbia contribuito, insieme ad altre cause, a determinare una così alta concentrazione della diffusione e dei decessi per il coronavirus in Lombardia. Certo è che questa causa non solo non dovrebbe essere ignorata nel dibattito pubblico, ma dovrebbe essere presa in più attenta considerazione anche per impostare le future misure di prevenzione.

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