3 Aprile 2023

Auto elettrica è meglio, ma per la mobilità green servono trasporto pubblico e bici

DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST

Circa il 25% di tutte le emissioni di gas serra prodotte in Italia derivano dai trasporti, l’unico settore che, almeno fino alla pandemia, invece di ridurle le ha aumentate. Di queste, i due terzi provengono dalle automobili. Se vogliamo raggiungere la neutralità climatica entro metà di questo secolo, a quel momento potremo permetterci di avere forse ancora un po’ di emissioni da alcune produzioni industriali e alimentari, che tecnicamente non saremo in grado di abbattere (da cui l’appellativo di settori “hard to abate”) e che potremo limitatamente “compensare” aumentando gli assorbimenti di CO2 dall’atmosfera. Gli altri settori aggredibili, come gli edifici e, appunto, i trasporti, entro il 2050 dovranno necessariamente aver azzerato o quasi le proprie emissioni di gas serra. Visto che la vita media di un’auto è di dieci anni e più, semplicemente al 2035 non potremo più permetterci di vendere auto nuove con emissioni potenziali diverse da zero.

Al momento, la tecnologia più promettente per rispettare questo impegno sembra essere l’auto elettrica, pur con tutti i suoi limiti e aspetti ancora irrisolti. E, anche al di là di direttive e regolamenti europei, il settore industriale dell’automotive sembrerebbe aver già fatto la sua scelta, se è vero che quasi tutti i principali gruppi automobilistici europei, e non solo, si sono dati obiettivi di piena elettrificazione della gamma anche prima del 2035.

A questo punto sarebbe utile promuovere in questo Paese un dibattito su come accompagnare al meglio questa transizione, su quali politiche industriali, fiscali e occupazionali mettere in campo per limitare le perdite e massimizzare i guadagni, non solo economici ma anche sociali (ad esempio, dando una risposta seria ai timori di possibili ricadute negative, in termini di sperequazione e aumento delle disuguaglianze, che anche oggi sono alla base di molte proteste di carattere “antiambientalista”). Invece si sta facendo altro, e forse non è un caso che, per la prima volta nella pur breve storia dell’auto elettrica moderna, nel 2022 l’Italia è stato l’unico Paese in Europa con un trend negativo di vendite, -27%, e meno di 50 mila veicoli, un quarto della Francia e quasi un decimo della Germania.

Detto tutto questo, rimane il fatto che in questa diatriba sull’auto elettrica, gli e-fuels e i biocombustibili rischiamo tutti di cadere vittima di una accecante miopia. Che ci nasconde la prima cosa a cui dovremmo guardare quando parliamo di emissioni e insostenibilità di un settore come quello dei trasporti: a come diminuire il numero di automobili in circolazione mantenendo, anzi semmai migliorando, la nostra libertà di movimento. E questa miopia è ancora più grave se colpisce un Paese che oggi, con 40 milioni di veicoli circolanti, è tra quelli con il più alto numero di automobili pro capite al mondo, quasi 700 ogni mille abitanti, una media di 1,6 a famiglia.

Politiche e strumenti in favore della ciclo-pedonalità, della mobilità pubblica e condivisa, della riconversione degli spazi urbani da luoghi dedicati alla circolazione delle automobili a quella delle persone, sono del tutto assenti dal dibattito nazionale. E in realtà non sembrano essere neppure troppo al centro dei pensieri del legislatore europeo. Rimane il dubbio se sia più utile, e anche conveniente, investire di più su queste politiche o sull’auto elettrica. Certamente, tra gli investimenti in tecnologie pulite, quelli sull’auto elettrica sono quelli che sono cresciuti di più negli ultimi anni: nel 2022 avrebbero superato, secondo le ultime stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, i 90 miliardi di dollari quasi raddoppiando rispetto all’anno precedente e più che triplicando rispetto a due anni prima.

Ho cercato anche i dati sugli investimenti mondiali dedicati al trasporto pubblico, alla mobilità dolce, alla pianificazione sostenibile delle aree urbane. Sarebbe stato interessante poter fare un confronto. Peccato non averli trovati.

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