6 Dicembre 2023
Avanti così, l’Italia raggiungerà la neutralità climatica tra 200 anni
DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST
Siamo nel pieno della 28° Conferenza delle Parti a Dubai. Con il primo global stocktake, il bilancio sugli impegni dei Governi che hanno firmato l’Accordo di Parigi, questa Cop comincia a fare i conti. Sappiamo già che nel complesso le ambizioni dei singoli Stati sono ancora molto distanti da quelle che dovrebbero essere. Ma come si presenta in particolare l’Italia a questo appuntamento della diplomazia climatica internazionale?
Prima dell’estate, con Italy for Climate avevamo presentato un primo bilancio a consuntivo del 2022 e il quadro che ne era emerso presentava più luci che ombre. A partire proprio dall’indicatore guida delle performance climatiche di un Paese, quello delle emissioni di gas serra che per rispettare l’Accordo di Parigi dovremmo tagliare rapidamente e in modo significativo. Nel 2022, al netto degli assorbimenti, abbiamo emesso in atmosfera 418 milioni di tonnellate di gas serra. Rispetto al 1990 le abbiamo ridotte di circa il 20%, contro il -30% della media europea. Guardando all’obiettivo comunitario del -55% entro il 2030, vuol dire che in oltre un trentennio non abbiamo fatto neppure la metà di quello che dovremmo fare da qui ai prossimi sette anni. Siamo, insomma, ancora davvero molto lontani dal target di medio periodo.
Ma raccontato così, nella sua massima sintesi, questo dato non dice tutto e la situazione è peggio di quanto potrebbe sembrare. Tutta la riduzione conseguita in oltre trent’anni è, infatti, figlia di quanto accaduto in appena un decennio: tra il 2005 e il 2014 l’Italia ha tagliato quasi 160 milioni di tonnellate di gas serra, un trend che, se fosse stato mantenuto, sarebbe stato più sufficiente a centrare gli impegni climatici più ambiziosi.
Invece, a partire dal 2014, il processo di decarbonizzazione nel nostro Paese si è sostanzialmente arrestato. Così, nonostante una pandemia globale e la peggiore crisi energetica degli ultimi cinquant’anni, nel 2022 le emissioni di gas serra in Italia erano già ritornate ai livelli precrisi. In media negli ultimi otto anni abbiamo tagliato le emissioni di appena lo 0,5% all’anno: a questo ritmo potremmo raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica, previsto al 2050, tra non meno di 200 anni.
Ma a cosa è dovuto questo brusco rallentamento? Ovviamente il processo di decarbonizzazione di una grande economia industriale come la nostra richiede tanti ingredienti diversi. Tra questi, la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con le fonti energetiche rinnovabili è certamente uno dei più importanti. E, quindi, non dovrebbe sorprendere più di tanto che proprio il 2005-2014 sia stato il decennio d’oro per le fonti rinnovabili in Italia, la cui produzione in pochi anni è praticamente raddoppiata, consentendoci in questo modo di ridurre il consumo di carbone, petrolio e gas e, quindi, ridurre le emissioni di gas serra. E allo stesso modo non dovrebbe sorprenderci troppo quello che è accaduto subito dopo. Dal 2014 al 2021 (ultimo aggiornamento disponibile a livello comunitario) il consumo di energie rinnovabili (di elettricità, di calore, di carburanti) è cresciuto in Italia di meno del 10%, contro una media europea di quasi il 25% (più del 20% Francia e Spagna, oltre il 30% Germania).
La dinamica delle rinnovabili in Italia, ma non solo, è in gran parte guidata da quanto accade nel settore della generazione elettrica che, dopo il record di installazioni del 2011 con oltre 10 gigawatt di nuovi impianti eolici e fotovoltaici, è precipitato a una media di 1 gigawatt all’anno fino al 2021, facendoci perdere terreno nei confronti di tutte le altre grandi economie continentali e, soprattutto, arrestando il processo virtuoso di riduzione delle emissioni di gas serra. Nel 2022, anche grazie al Superbonus, il settore ha ripreso a crescere e abbiamo triplicato il dato degli anni precedenti, ma in ogni caso abbiamo installato la metà di quanto fatto quell’anno in Polonia e un terzo, o anche meno, di Spagna e Germania. Nel corso del 2023 le cose migliorano ancora e forse chiuderemo l’anno con 6 gigawatt di nuovi impianti: si tratta di un passo in avanti importante, e infatti le ultime stime dell’Enea per l’anno in corso prevedono finalmente un calo delle emissioni di gas serra, ma siamo ancora a circa la metà di quello che dovremmo installare ogni anno per poterci allineare agli obiettivi di Parigi.
Nel 2014 la crescita delle rinnovabili fu bloccata da pessimi interventi normativi e, soprattutto, da una campagna di disinformazione fondata sulla tesi che fossero tecnologie troppo costose. Eravamo tra i leader mondiali del settore e abbiamo deciso di non guardare al futuro e scommettere viceversa su un ritorno al passato, perdendo così progressivamente terreno rispetto ai nostri principali competitor europei e internazionali. Oggi le rinnovabili sono in assoluto il modo più economico per produrre energia elettrica – anche grazie agli incentivi che ne hanno sostenuto la crescita negli anni passati – e rappresentano uno dei maggiori attrattori di investimenti a livello globale. Sarà la Cop di Dubai, patria di uno dei più grandi produttori al mondo di combustibili fossili, che farà tornare l’Italia a guardare avanti e a scommettere sul futuro lasciandoci alle spalle nostalgie fossili (e nucleari)?