3 Giugno 2024

Cinque falsi miti sull’Europa e la transizione energetica

DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU THE MAP REPORT

Il 2024 è un anno caratterizzato da una serie di sfide elettorali che potrebbero influenzare in modo determinante le politiche climatiche di questo (e anche del prossimo) decennio. Andranno al voto, infatti, tre dei primi quattro grandi emettitori mondiali: USA, India e Unione Europea, che insieme contano oltre 2,2 miliardi di persone e sono responsabili complessivamente di un quarto delle emissioni globali di gas serra.  

I temi connessi alla transizione ecologica – e, in particolare, al contrasto alla crisi climatica – sono diventati negli ultimissimi anni veri e propri terreni di confronto politico, a cominciare proprio dall’arena europea. I benpensanti potrebbero leggerci un segnale positivo: finalmente la politica comincia ad occuparsi seriamente di temi come la tutela degli ecosistemi e il contrasto alla crisi climatica! Dalla parte opposta, i malpensanti potrebbero sostenere che si tratti di puro opportunismo: la politica non può più ignorare un problema che, tra l’acutizzarsi degli effetti del riscaldamento globale e una crisi energetica senza precedenti almeno da cinquant’anni a questa parte, ha oramai assunto le fattezze di un elefante dentro la stanza.  

A prescindere da ragioni vere o presunte, questa accresciuta attenzione ai temi ambientali in vista delle elezioni europee ha acceso i riflettori su un altro elemento, sempre più centrale (si pensi anche al tema dell’Intelligenza Artificiale) nel dibattito pubblico contemporaneo: la qualità dell’informazione e la diffusione, più o meno deliberata, di pregiudizi sui possibili rischi che deriverebbero da un orientamento eccessivamente green delle politiche comunitarie. Quelli che in gergo, con il lavoro di Italy for Climate, abbiamo chiamato “falsi miti” concentrandoci, subito dopo lo tsunami che ha investito il settore energetico, su quelli che hanno inquinato il dibattito fonti rinnovabili. Oggi una serie di falsi miti avvelenano anche il dibattito sul presente e sul futuro dell’Unione europea. Come per le rinnovabili, in un recente report pubblicato in vista delle elezioni europee, ne abbiamo individuati cinque, vediamoli brevemente.   

Falsomito#1: L’Unione europea sta perseguendo obiettivi troppo ambiziosi e dovrebbe, invece, rallentare sulla via della decarbonizzazione! 

Come abbiamo visto, l’Unione europea è uno dei più grandi emettitori di gas serra al mondo, il quarto al mondo da pochissimo superato dall’India (e lo è ancora di più, ovviamente, se guardiamo alla sua responsabilità storica, secondo subito dietro agli USA e davanti alla Cina). A dettare i tempi, oggi, è proprio l’incredibile accelerazione della crisi climatica a cui sitiamo assistendo negli ultimissimi anni, che ha portato nel 2023 a sfiorare quel limite dei +1,5 °C rispetto al periodo preindustriale che ci eravamo dati a Parigi per tutto il secolo in corso e che ha innescato un acceso dibattito tra gli scienziati del clima se quell’obiettivo sia ancora tecnicamente raggiungibile. A questo si aggiunge il fatto che l’ultima valutazione degli impegni presi dai Governi di tutto il mondo nell’ambito dell’Accordo di Parigi, tra cui anche quelli i dell’Unione europea, svolta in occasione della COP28 di Dubai (il c.d. Global Stocktake) li ha classificati come inadeguati a contrastare la crisi climatica in corso e a rispettare gli impegni presi nel 2015, richiamando tutte le parti a presentare entro il prossimo anno nuovi e ancora più sfidanti obiettivi di riduzione. A qualcuno sembra davvero un contesto in cui bisognerebbe rallentare? 

Falsomito#2: L’Unione europea non deve entrare nel merito delle scelte di singole tecnologie ma, viceversa, deve adottare un approccio quanto più possibile “tecnologicamente neutro” lasciando fare al mercato! 

Per cambiare passo sulla via della decarbonizzazione servono scelte chiare che siano in grado di indirizzare il sistema industriale verso soluzioni sostenibili sul breve e lungo periodo. Nonostante la reticenza ma anche le oggettive difficoltà, questo approccio sta diventando parte integrante degli accordi internazionali, come ci dimostra ad esempio il target – molto impegnativo per la verità – fissato all’ultima COP di triplicare le fonti rinnovabili entro il 2030 (non generiche tecnologie a zero emissioni, ma proprio fonti rinnovabili) o il phase out dal carbone recentemente sottoscritto nell’ambito dell’incontro G7 italiano sul clima. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) già da alcuni anni ha proposto una roadmap per decarbonizzare il sistema energetico globale con tappe molto precise che prevedono, ad esempio, già dal 2025 di vietare la vendita di nuove caldaie alimentate a combustibili fossili (come il gas), dal 2030 di realizzare solo nuovi edifici  a zero emissioni o dal 2035 di arrivare nei paesi industrializzati a sistemi di generazione elettrica a zero emissioni. Solo in questo modo, dando segnali chiari al mercato sul futuro delle diverse tecnologie ma senza ovviamente fermare la ricerca di nuove soluzioni, potremo pensare di realizzare in pochissimi anni una vera e propria rivoluzione del sistema energetico globale. Specie se, come spesso accade, dietro al motto della “neutralità tecnologica” si cela la volontà di rallentare il cambiamento.  

Falsomito#3: Se l’Unione europea punterà sulla decarbonizzazione, rischierà di perdere competitività e di essere spiazzata sui mercati globali! 

In realtà la transizione energetica, per chi ancora non se ne fosse accorto, nel mondo reale è già in corso, anche se a velocità ancora insufficiente a tenere il passo della crisi climatica galoppante. Moltissime imprese, prima ancora che i Governi, hanno già rivisto da diversi anni le proprie priorità negli investimenti anche riorientando in modo drastico il proprio modello di business. Già nel 2016, sempre secondo i dati della IEA, gli investimenti mondiali nelle energie pulite hanno superato quelle nei combustibili fossili e nel 2023 si stima abbiano raggiunto i 1.700 miliardi di $ contro i poco più di mille miliardi dei fossili. Irena ci dice che nel mondo ogni 10 kW di nuova capacità di generazione elettrica installata 8 kW sono alimentati da fonti rinnovabili. Questo trend anno dopo anno si consolida e, per rispettare gli impegni sul clima, si prevede che gli investimenti sulle energie pulite – in larghissima parte su rinnovabili, elettrificazione e reti – debbano più che raddoppiare già al 2030. Difendere oggi lo status quo e gli investimenti nei combustibili fossili, cercare di rallentare il cambiamento in una fase storica che rivoluzionerà in pochi anni un settore come quello energetico, ricorda un po’ quelli che alla vigilia della rivoluzione dei trasporti difendevano le carrozze coi cavalli affermando che quei buffi trabiccoli motorizzati a quattro ruote non avrebbero mai avuto futuro.  

Falsomito#4: Se l’Unione europea si ostinerà a perseguire obiettivi climatici troppo ambiziosi, arrecherà un danno alla propria economia e si perderanno posti di lavoro! 

In parte a questo falso mito abbiamo già risposto al punto precedente, mostrando come il mercato si sia già orientato in direzione della transizione energetica e cercare di frenare possa mettere a rischio la competitività di una economia, con effetti negativi anche in termini di occupazione. Ma c’è di più. È proprio la crisi climatica incontrollata, oggi, a rappresentare la principale minaccia per l’economia mondiale, inclusa l’Europa in cui il riscaldamento globale viaggia più velocemente rispetto alla media europea. I costi della crisi climatica superano già oggi quelli che sarebbe necessario mettere in campo per tagliare le emissioni e questa forbice è destinata ad accrescersi in futuro: secondo un recente studio del Fondo Monetario Internazionale, a fronte di costi di mitigazione stimati tra l’1 e il 2% del Pil mondiale annuo, i benefici netti per l’economia globale porterebbero ad un aumento del Pil fino all’8% nel 2050. Anche in termini di occupazione, investire nella transizione green farebbe cresce il numero degli occupati del settore energetico, come ci dice sempre la IEA stimando che in uno scenario compatibile con il net-zero nel settore dell’energia si passerebbe a livello globale dagli attuali circa 65 milioni a circa 90 milioni di occupati nel 2030 (di cui l’80% impiegati nelle energie pulite). Il saldo, insomma, sarebbe decisamente positivo, poi starà alle politiche locali essere in grado di massimizzare questi benefici accompagnando e sostenendo la transizione del sistema industriale e i primi a partire saranno, ovviamente, i più avvantaggiati.  

Falsomito#5: L’Unione europea non deve muoversi sulla via della decarbonizzazione senza un accordo che coinvolga operativamente tutti i Governi del mondo perché sarebbe inutile e dannoso! 

Sui potenziali danni per l’economia abbiamo già provato a rispondere nei punti precedenti. Ma in realtà, se guardiamo ai dati sulle emissioni, dobbiamo anche ammettere che non ha senso dover attendere che 200 Paesi si mettano in marcia contemporaneamente. Cina, Usa, India e Unione europea da sole sono responsabili di oltre la metà delle emissioni globali. Se consideriamo anche gli altri sei grandi emettitori, complessivamente i primi dieci emettitori al mondo sono responsabili da soli del 70% delle emissioni globali di gas serra. Guardando da un’altra angolazione, senza tirare in ballo responsabilità storiche che per decenni hanno ostacolato il consenso internazionale, possiamo anche riconoscere che gli ultimi 100 Paesi emettitori, che peraltro sono quelli che pagheranno maggiormente i costi della crisi climatica in corso, da soli sono responsabili appena del 2% delle emissioni globali. Se il gruppo dei principali emettitori, tra cui l’Europa, decidesse davvero di impegnarsi per raggiungere la neutralità climatica prima del 2050, gli effetti sulle emissioni sarebbero sicuramente molto rilevanti tanto da indurre la svolta di cui avremmo bisogno. Inoltre, rappresentando anche i principali mercati del mondo, sarebbero loro a definire gli standard a cui anche gli altri Governi dovrebbero necessariamente adeguarsi.  

Terminata questa breve disanima, non possiamo che augurarci che i temi della transizione energetica e della crisi climatica continuino ad essere protagonisti del dibattito pubblico e anche di quello elettorale. Ma liberi una volta per tutte da pregiudizi e falsi miti.   

Contributo alle emissioni globali di gas serra nel 2022 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: elaborazione Italy for Climate su dati JRC-Edgar 

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