21 Novembre 2022
COP27 COP of Coffee | Bollettino numerocinque
Si chiude il sipario Cop27, si apre la trattativa
di Antonio Cianciullo
Due settimane di lavoro, più due giorni di tempi supplementari, non sono bastate a produrre un testo capace di tenere assieme gli equilibri politici e le indicazioni necessarie alla sicurezza climatica. La COP27 si è chiusa come l’aveva progettata il governo egiziano, forte esportatore di gas ed elemento trainante della coalizione africana: un’apertura al principio della giustizia climatica e un altro anno di via libera ai combustibili fossili.
L’unica novità
L’intesa approvata dai rappresentanti di più di 190 Paesi contiene un’unica innovazione: l’inserimento di un paragrafo sul loss and damage, cioè sugli indennizzi da riconoscere ai Paesi più deboli e più colpiti dalla crisi climatica. E’ una vittoria politica netta dell’ampio fronte chiamato ancora con il vecchio nome G77 più Cina. Stati Uniti ed Unione europea avevano proposto il Global Shield, una copertura assicurativa contro i rischi climatici, ma era una proposta oggettivamente debole. Il trend reale assicurativo va infatti in senso opposto, continuano a crescere i luoghi del mondo esposti così spesso a uragani e inondazioni che le compagnie si rifiutano di stipulare polizze assicurative. Inoltre l’aver fatto passare il principio del loss and damage segna l’unico punto a favore della COP27 anche perché riporta il dibattito climatico dal tempo futuro al tempo presente. Non si discute più dei problemi che verranno, ma di come quantificare quelli che si sono già manifestati e che continuano a farlo.
Quale sarà il ruolo della Cina?
Approvato il principio generale, tutte le domande restano aperte: qual è l’ammontare di questo fondo? Da dove vengono presi i soldi? Chi deve pagare e chi deve essere pagato? Non sono domande accessorie: costituiscono il nocciolo del problema. Basta pensare alla Cina che continua a presentarsi ai tavoli del negoziato dietro il vecchio scudo dei Paesi più vulnerabili che però oggi hanno spesso storia e interesse diversi – se non opposti – rispetto a quelli di Pechino. La Cina è al primo posto come emettitore di gas serra ed è responsabile di metà delle emissioni prodotte dall’uso del carbone. E di certo ha le spalle finanziarie per contribuire alla creazione del fondo loss and damage. Vorrà relazionarsi con questo fondo come erogatore o come beneficiario? Che posizione prenderanno i Paesi che possiedono – e usano – i maggiori giacimenti petroliferi ma che rientrano nell’altra vecchia definizione di Paesi in via di sviluppo?
Guterres: la COP27 non ha dato risposte
Inoltre, al di là della logica finanziaria con cui costruire questo fondo, c’è un’altra domanda a cui la COP27 non ha dato risposta. Che senso ha discutere di come pagare i danni senza occuparsi delle azioni che servono a ridurli? È quello che ha detto il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “Bisogna essere chiari: il nostro pianeta è ancora in una situazione di emergenza, dobbiamo ridurre subito drasticamente le emissioni e questo non è stato affrontato. Il fondo per le perdite e i danni è essenziale, ma non è la risposta se la crisi climatica cancella della mappa un piccolo Stato insulare o trasforma completamente un Paese africano in un deserto”. Sulla stessa posizione il responsabile clima dell’Unione Europea, Frans Timmermans: “Noi abbiamo cercato di portare tutti sull’obiettivo di 1,5 gradi, sul picco delle emissioni al 2025 e su una chiara intenzione di eliminare i combustibili fossili. Questa settimana abbiamo sentito 80 Paesi sostenere questi obiettivi. Tristemente, non li vediamo riflessi qui”, nel testo finale.
Transizione ecologica? Desaparecida
Il punto sostanziale è che, mentre la situazione climatica continua a peggiorare, la COP di Sharm el Sheikh non ha fatto neppure un timido passo in direzione di un’accelerazione della transizione ecologica. Una lunga e faticosa battaglia del fronte guidato dall’Unione Europea ha evitato passi indietro sul tema della mitigazione della crisi climatica, cioè della fuoriuscita dai combustibili fossili.
La conferenza Onu riconosce infatti che “per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi occorre agire in tempi rapidi, con una riduzione delle emissioni globali di gas serra del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019”. Una semplice conferma. A cui va aggiunto il primo riferimento alle fonti rinnovabili. Stop.
Dunque si chiude il sipario della COP27 ma si aprono i giochi. La definizione del fondo per il loss and damage è affidata a un meccanismo che si metterà in moto nei prossimi mesi. E sempre nei prossimi mesi dovranno – si spera – essere definiti i nuovi obiettivi di taglio delle emissioni dei singoli Paesi: senza questi target la crescita della temperatura si avvicinerà a 3 gradi. I motori si stanno mettendo in moto per arrivare a COP28 che verrà ospitata a Dubai, negli Emirati Arabi. Una tappa difficile.
È il momento di rilanciare
“È giunto il momento, in particolare per i Paesi più avanzati, di accelerare sulla via della transizione energetica, indipendentemente dagli esiti di questa o della prossima COP”, dice Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Singoli Governi, imprese, città si sono già dati obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione e stanno mettendo in campo soluzioni innovative ed efficaci per raggiungere la neutralità anche prima della metà del secolo. Dobbiamo uscire dalla logica dei veti incrociati che paralizza ogni decisione e puntare su questo movimento. Se riusciremo a far cresce questo gruppo di attori, governativi e non, in prima linea contro il cambiamento climatico, allora quegli obiettivi che oggi sembrano lontanissimi guardando ai risultati della diplomazia climatica, diventeranno incredibilmente più vicini.”
Leggi anche l’approfondimento a cura di Toni Federico, del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
LINK | Approfondimento COP27