23 Marzo 2022

Educare gli adulti di oggi, lasciandolo fare a quelli di domani

Quest’anno si festeggerà il trentennale della storica Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro che, nel lontano 1992, introdusse per la prima volta nel gergo delle trattative internazionali il concetto di “sviluppo sostenibile”, mettendolo al centro di una vera e propria agenda per il ventunesimo secolo. Da allora, i progressi fatti per ristabilire un equilibrio duraturo tra l’umanità e il pianeta che la ospita non sono stati purtroppo quelli attesi.

In particolare, la crisi climatica si è andata affermando come la principale minaccia ambientale del nuovo millennio, di cui già oggi vediamo e viviamo numerosi effetti. Trent’anni fa ci eravamo ripromessi di arrestare la crescita delle emissioni di gas serra entro la fine dello scorso millennio. Non solo abbiamo fallito, ma proprio negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a un loro forte aumento, senza precedenti nella storia.

In questo stesso periodo abbiamo comunque messo a punto soluzioni e tecnologie che, se adeguatamente promosse, possono piegare verso il basso la curva delle emissioni. Basti pensare alle energie rinnovabili, il sole e il vento in particolare, che nell’ultimo decennio hanno tagliato drasticamente i costi, tanto da diventare oggi le fonti energetiche più economiche – e ampiamente disponibili – in circolazione, molto più di gas, carbone o nucleare.
Ma perché non è ancora sufficiente?

Certamente i fattori sono diversi, e vanno dall’oggettiva difficoltà nell’imporre un cambiamento tanto radicale nei consolidati modelli di produzione e consumo fino agli ostacoli messi in campo di continuo da alcuni soggetti – sempre meno in realtà – a difesa di propri parziali interessi.
Ma su questa incapacità di agire in modo determinante pesa forse più di tutte la difficoltà nel riuscire a costruire una consapevolezza comune, una cultura diffusa della sostenibilità. Basta sfogliare i giornali di questi giorni per vedere quanto il dibattito pubblico – dai prezzi dell’energia a un possibile ritorno del nucleare – sia caratterizzato dalla totale mancanza di informazioni credibili e condivise.

Certamente su questo influisce il mondo dei media, che si rivela spesso inadatto a trattare un tema come quello della sostenibilità, poco propenso – al di là di qualche evento eccezionale o catastrofico – a essere spettacolarizzato.
Basta guardare lo spazio dedicato a questi temi sulle prime pagine dei giornali, e in particolare di quelli italiani: se fermare il cambiamento climatico rappresenta la priorità politica di quest’epoca, come dicono in tanti, come mai non è costantemente in testa alle news del giorno?

Un paio di anni fa, con la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, abbiamo lanciato l’iniziativa Italy for Climate per provare a contribuire a sbloccare questo stallo nella diffusione delle informazioni.

Siamo convinti che sia necessaria un’azione di informazione e sensibilizzazione a tutti i livelli, trasversale a ogni settore della società, e che una delle cause del rallentamento delle politiche per il clima sia l’aver confinato questo tema nello spazio angusto del dibattito tra esperti e addetti ai lavori, pensando che sarebbero stati poi loro a convincere la politica ad agire.
Ovviamente non funziona così.
Un bel film uscito di recente racconta bene questo cortocircuito, coniando uno slogan molto azzeccato: Don’t look up (film del 2021 scritto e diretto da Adam McKay).

Negli ultimissimi tempi abbiamo assistito alla nascita di movimenti giovanili per il clima, movimenti che accusano noi adulti di non aver fatto abbastanza per fermare la crisi climatica.

Tutto è iniziato quando nell’agosto 2018 la quindicenne Greta Thunberg ha iniziato a reclamare un rafforzamento dell’azione per il clima di fronte al Parlamento svedese. Poco per volta questo movimento si è diffuso a livello internazionale, invitando gli studenti di tutto il mondo a saltare le lezioni ogni venerdì in segno di protesta, con il motto #FridaysForFuture.

Youth4Climate, la conferenza dei giovani sul clima che si è tenuta nel settembre 2021 a Milano, si è inserita nel processo di coinvolgimento dei giovani, iniziato nel 2019 con lo United Nations Youth Climate Summit, svoltosi a New York il 21 settembre 2019.

Sono frutto dell’impegno delle nuove generazioni di attivisti anche: Extinction Rebellion, un movimento di disobbedienza per il clima nato per chiedere interventi urgenti per arrestare la crisi climatica e ambientale, che usa la matematica come strumento per pianificare le proteste; Sunrise Movement, un movimento di lotta contro la crisi climatica che punta sulla collaborazione e la creazione di posti di lavoro; Rinascimento Green che, partendo dal presupposto che crisi climatica e ambientale siano dimensioni profondamente interconnesse, promuove un Green new deal italiano che riporti la società civile e le persone al centro del dibattito, per affrontare parallelamente crisi ambientale ed economica. I movimenti delle nuove generazioni rivendicano ovunque cambiamenti radicali per affrontare la crisi climatica, una decisa accelerazione delle azioni intese a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, bloccando gli investimenti nei combustibili fossili, proteggendo la biodiversità e ripristinando gli ecosistemi.

Difficile dargli torto, stando ai fatti e non alle parole.
Ma quello che mi ha colpito di più, avendo avuto l’occasione di confrontarmi con alcuni di questi ragazzi, è la consapevolezza e il livello di competenza che hanno mostrato su questi temi, del tutto sconosciuti alla mia generazione alla loro età (ma forse “alla loro età” si potrebbe anche togliere).

Quando sento dire che per vincere la sfida della sostenibilità e del cambiamento dobbiamo partire dall’educazione, ho sempre il sospetto che dietro queste parole si celi un tentativo di deresponsabilizzazione da parte del mondo degli adulti.
Se precipiteremo o no nel caos climatico dipenderà strettamente da quello che saremo in grado di fare in questo decennio decisivo. E non possiamo in alcun modo scaricare la responsabilità di fermare la crisi climatica sulle generazioni che verranno, semplicemente perché l’unica cosa che potranno fare sarà subirne gli effetti.
Dobbiamo lavorare molto sull’educazione, certamente, ma molto su quella degli adulti di oggi.
E forse non sarebbe una cattiva idea se qualcuno dei nostri ragazzi si alzasse, facesse il giro dell’aula e per una volta si mettesse in cattedra…

Articolo originale su Innesti.com
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