26 Febbraio 2022

Eunice e non solo. Londra impreparata a eventi estremi, l’Italia non va meglio

La tempesta Eunice ha spazzato il nord Europa e il Regno Unito con raffiche di vento a 200 chilometri orari, in grado letteralmente di sollevare in aria cose e persone. Si tratta solo dell’ultimo evento estremo che colpisce questa regione e che non è riconducibile al normale pattern meteoclimatico della zona. Molti si ricorderanno di quanto accadde nel luglio 2021, con le strade della City diventate fiumi in piena, automobili e persone trascinate via come tronchi: immagini che fecero il giro del mondo. Quel giorno a Londra caddero in un’ora quasi 50 millimetri di pioggia, ossia più di quanta ne cade mediamente in un mese intero, causando l’inondazione di più di mille appartamenti e la chiusura di ospedali e metropolitane.

Un recente rapporto del London Councils, un’organizzazione indipendente che rappresenta la City e 32 consigli distrettuali, ha affrontato il tema del rischio inondazioni a Londra, evidenziando il fatto che se un fenomeno come quello del luglio scorso si verificasse di notte potrebbe avere esiti ben più gravi. In particolare per le persone, il numero è sicuramente alto ma incredibilmente sconosciuto, che vivono nei seminterrati e che rischierebbero di morire annegate.

Il rapporto individua una serie di criticità, come la crescente impermeabilizzazione del suolo urbano e l’assenza di un piano per contrastare questo tipo di avversità. E punta il dito anche sul sistema di drenaggio cittadino, di età vittoriana, che non è stato concepito per rispondere a eventi simili. Quel che più colpisce è che stiamo parlando di una delle metropoli più ricche e avanzate del pianeta, la capitale di un Paese che ha fissato obiettivi climatici tra i più sfidanti al mondo, a cominciare dal taglio delle emissioni di gas serra di ben il 78% rispetto al 1990 da conseguire entro il 2035 (già oggi le emissioni del Regno Unito si sono quasi dimezzate).

Se siamo oramai consapevoli (lo siamo, vero?) che i progressi in termini di riduzione delle emissioni globali sono ancora largamente insufficienti, forse non lo siamo altrettanto circa la nostra scarsa capacità di rispondere al clima che cambia. E questo pur sapendo che gli impatti del riscaldamento globale non riguardano più solamente le generazioni future, ma influenzano l’esistenza di quelle presenti. Viviamo in un mondo più caldo di oltre un grado rispetto a poco più di un secolo fa. Questo significa una enorme quantità di energia in più “stoccata” all’interno dell’atmosfera, che alimenta molti degli eventi meteorologici estremi a cui sempre più spesso assistiamo e che continua a crescere ogni anno che passa.

La Nasa con il suo osservatorio sul cambiamento climatico ci avverte: “Gli impatti del cambiamento climatico indotto dall’uomo sono già presenti oggi, sono irreversibili nella scala temporale delle persone e peggioreranno nei prossimi decenni”. Gli oltre duemila miliardi di tonnellate di gas serra che abbiamo scaricato in atmosfera negli ultimi 150 anni hanno di fatto già destabilizzato il sistema climatico e, vista la sua grande inerzia, non possiamo far altro che trovare un modo per convivere con questi impatti crescenti. Ed è in particolare nelle città, in cui vive oramai più della metà della popolazione mondiale, che si concentrano i rischi e i costi maggiori del cambiamento climatico in corso.

In Italia, purtroppo, la situazione non sembra essere molto diversa da quella del Regno Unito, forse con qualche criticità in più. Nel nostro Paese la temperatura nell’ultimo secolo è aumentata di più del doppio della media mondiale e ci troviamo all’interno dell’hot-spot climatico del bacino Mediterraneo, una zona su cui il cambiamento climatico genera rischi particolarmente elevati. Secondo una elaborazione per l’Italia dei dati dello European Sever Wather Database, dal 2008 al 2020 gli eventi meteorologici estremi connessi al cambiamento climatico sono cresciuti di 8 volte, arrivando a quasi 1.300 eventi in un anno e con le piogge intense e bombe d’acqua aumentate di quasi il 600%.

In questo contesto si inseriscono le splendide città d’arte italiane che, ricordando l’analisi svolta dal London Councils per Londra, proprio a causa di infrastrutture vetuste potrebbero essere particolarmente vulnerabili agli eventi meteorologici estremi attuali. Basti ricordare che una città come Roma in buona parte sfrutta ancora oggi sistemi di drenaggio realizzati in epoca imperiale. Sarà un caso che proprio la capitale è in cima alla classifica stilata da Legambiente https://cittaclima.it/ delle città più colpite dal cambiamento climatico, con quasi 60 eventi estremi censiti tra il 2010 e il 2021?

Lo scorso anno le Nazioni Unite hanno lanciato l’iniziativa “Race to Resilience”, con l’obiettivo di accrescere la resilienza climatica di almeno 4 miliardi di persone, a cominciare da chi vive nei Paesi in via di sviluppo e dalle comunità più vulnerabili. Il termine “resilienti” viene utilizzato per indicare quei territori e quelle città in grado non solo di sopravvivere e adattarsi agli impatti del cambiamento climatico, ma anche di crescere e prosperare nonostante gli stress climatici e gli eventi estremi indotti dalla crisi climatica.

Un paio di settimane fa in un seminario organizzato proprio con l’Ambasciata britannica, in collaborazione con Italy for Climate e con il Green City Network della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, abbiamo fatto il punto anche sulla situazione italiana, con l’importante testimonianza di alcune esperienze portate avanti dalle Regioni Lombardia e Sardegna e dai Comuni di Bologna, Genova e Sorradile. Purtroppo i tentativi di realizzare piani e strategie per rendere più resilienti i territori italiani sono ancora troppo pochi e l’auspicio è che iniziative come quella delle Nazioni Unite possano accendere i riflettori su questo tema, dandogli finalmente l’attenzione che merita.

Articolo originale pubblicato su Huffingtonpost.it

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