18 Novembre 2024
Francesco La Camera (Irena): “Meno burocrazia, meno aiuti ai fossili, più rinnovabili: così si salva il clima”
🌐 𝘪𝘯𝘴𝘪𝘨𝘩𝘵𝘊𝘖𝘗29 è la nostra iniziativa per riportare e analizzare le prospettive e le aspettative derivanti dai lavori attualmente in corso durante questi giorni di COP.
DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFF POST
È possibile, in un contesto difficile come quello della COP29 di Baku, tracciare un percorso per arrivare all’ambizioso target di triplicare entro il 2030 la capacità globale di generazione elettrica da fonti rinnovabili? Francesco La Camera, direttore generale di Irena, l’agenzia intergovernativa che ha il ruolo di supportare la transizione energetica a livello globale, ha accettato l’invito a rispondere a questa domanda. Partiamo dalla conferenza di Dubai del 2023: perché è stato previsto questo target sulle fonti rinnovabili e quanto siamo lontani dal raggiungerlo?
L’obiettivo di triplicare le fonti rinnovabili è semplicemente la traduzione in nuova capacità di generazione elettrica dell’obiettivo indicato dall’IPCC: ridurre le emissioni di oltre il 40% entro il 2030 senza al contempo creare problemi al mercato dell’energia, cioè assicurando che domanda e offerta riescano a essere in sintonia. Triplicare la potenza installata di fonti rinnovabili a livello mondiale ci consentirà di allinearci all’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra, ma a patto di ridurre in modo adeguato l’uso dei combustibili fossili. Purtroppo, i dati ci dicono che attualmente non siamo assolutamente in linea con questo obiettivo. Lo scorso anno abbiamo raggiunto un nuovo record di capacità installata di rinnovabili nel mondo con 473 gigawatt, ma non basta. Bisognerebbe più che raddoppiare. Per rispettare l’obiettivo di triplicare la capacità installata di fonti rinnovabili dovremmo arrivare a 11.200 GW complessivamente installati entro il 2030: visto che mancano sei anni a questa scadenza, vuol dire mettere a terra in media ogni anno per i prossimi sei anni più di 1.050 gigawatt di impianti rinnovabili.
Eppure stiamo già cambiando profondamente il modo di produrre e consumare la nostra energia. E le fonti rinnovabili sono al centro di questa trasformazione. Secondo Irena nel 2023 gli investimenti nelle tecnologie per la transizione energetica hanno superato la soglia dei 2 mila miliardi di dollari, praticamente duplicando in appena un quinquennio e di questi quasi 600 miliardi sono destinati alle rinnovabili. Rinnovabili che, sempre secondo l’analisi dell’Agenzia, nel 2023 hanno garantito un posto di lavoro a oltre 16 milioni di persone, in questo caso raddoppiando in un decennio. Ma, nonostante tutto questo, il consumo di combustibili fossili ancora non scende, come mai?
Le rinnovabili sono già oggi il primo settore per quanto riguarda la capacità installata annuale: lo scorso anno ben l’87% della nuova capacità di produzione di energia elettrica realizzata nel mondo è stata alimentata da fonti rinnovabili, mentre solo il restante 13% da nucleare e combustibili fossili. Purtroppo, è altresì evidente che le rinnovabili non stanno crescendo al ritmo che sarebbe necessario, lasciando ancora spazio nel mercato ai combustibili fossili. C’è certamente un problema infrastrutturale, perché abbiamo bisogno di reti sempre più interconnesse, flessibili e al tempo stesso bilanciate. Così come ci serve formare nuove competenze e capacità professionali in grado di lavorare su sistemi sempre più decentralizzati. Ma abbiamo bisogno anche di un ambiente legale che sia più favorevole alle rinnovabili, mentre stiamo ancora dando sussidi alle energie fossili. Prima di pensare di tassare i combustibili fossili dovremo forse eliminare i vantaggi che i fossili hanno oggi: sul mercato internazionale i beni e servizi prodotti con combustibili fossili risultano spesso favoriti rispetto a beni e servizi prodotti attraverso le energie rinnovabili.
Nonostante le fonti rinnovabili, ed eolico e fotovoltaico in particolare, rappresentino ormai di gran lunga il modo più economico per produrre energia elettrica, con costi anche un terzo o un quarto di quelli dei fossili e del nucleare, trovano ancora tanti ostacoli sulla loro strada. In Italia gli iter autorizzativi durano anni e sembra crescere anche l’ostilità da parte di alcuni cittadini verso queste tecnologie, spesso spinta da una – almeno dichiarata – particolare attenzione per l’ambiente. L’Italia è un caso isolato o si tratta di problemi comuni?
Tutti i tipi di interventi che hanno un impatto sui territori incontrano spesso difficoltà con le popolazioni locali. Occorre a mio avviso una maggiore capacità di rendere noti i vantaggi dell’utilizzo delle rinnovabili a tutti gli stakeholder: bisogna costruire una narrativa efficace in modo da ridurre le resistenze che oggi queste tecnologie incontrano nei processi decisionali. Il problema delle lentezze amministrative non riguarda solo l’Italia ma anche altri Paesi. In Italia però sembra essere particolarmente grave e richiede, quindi, una forte accelerazione degli iter autorizzativi. La stessa Unione Europea ha chiarito che in questi casi deve essere considerato prevalente l’interesse pubblico alla tutela ambientale. Secondo questa interpretazione, l’UE potrebbe favorire la possibilità che eventuali ricorsi contro il blocco dei progetti vengano risolti attraverso vie più rapide di quelle attuali.
Il tema della consapevolezza dei reali costi e benefici dell’azione di difesa del clima è centrale. Ed è legato alla fiducia che le persone ripongono nella possibilità di soddisfare il proprio fabbisogno energetico con le fonti rinnovabili. Fiducia che viene spesso messa a rischio dalla disinformazione che, proprio in occasione dell’ultimo summit del World Economic Forum di Davos, è stata indicata dal mondo delle imprese come la principale minaccia alla prosperità economica globale a breve termine. Come si può contrastare questo fenomeno?
Irena sta lavorando a una ipotesi di pianificazione di un sistema di generazione 100% rinnovabile. Ormai è, infatti, una leggenda che le rinnovabili non possano provvedere al baseload del sistema energetico e garantire integralmente una fornitura di energia affidabile ed economica. È invece assolutamente possibile, come ci dimostra quello che accade in alcune province della Cina: se lo fanno loro lo possono fare anche gli altri. Perché quello che è davvero importante non è tanto il tipo di combustibile e neppure il fatto che alcune rinnovabili siano intermittenti: ciò che conta davvero è riuscire a costruire il sistema infrastrutturale adatto, dotato quindi di storage, di impianti per la produzione di idrogeno e, ad esempio, anche capaci di sfruttare appieno il potenziale dell’idroelettrico per assicurare che il sistema si mantenga stabile e che, al contempo, garantisca adeguati livelli di interconnessione e flessibilità.
Il tema centrale della Cop29 è come tutelarci dalla crisi climatica e come riparare i danni che sta già provocando. Con tanti Paesi in condizioni di sottosviluppo e povertà che non hanno i mezzi per affrontare questa trasformazione. Quali segnali possiamo attenderci da Baku?
La COP29 di Baku è considerata una COP finanziaria e dovrà definire un nuovo target di aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo, quello che rimpiazzerà l’obiettivo della finanza climatica dei 100 miliardi di dollari. È un passo molto importante, per dimostrare l’interesse e la volontà politica di aiutare i Paesi in via di sviluppo a fare il salto verso un sistema energetico pulito. Ma bisogna anche fare in modo che i finanziamenti siano ben mirati definendo specifiche priorità, come ad esempio la realizzazione di una adeguata rete infrastrutturale in Africa, necessaria per far crescere le energie pulite ma anche il reddito delle persone senza un aumento delle emissioni di gas serra non in linea con l’accordo di Parigi. Questo, ovviamente, non vale solo per l’Africa ma ad esempio anche per il sud asiatico che ha forte bisogno di una rete infrastrutturale che assicuri un circuito virtuoso fra sviluppo economico e costruzione del nuovo sistema energetico a basse emissioni.