5 Novembre 2021

Giorno 4, COP26 DAY BY DAY – Lettere da Glasgow

Tra paradossi e boutade, Cop26 cerca una strada verso la concretezza

di Antonio Cianciullo

Dopo i fuochi d’artificio delle dichiarazioni dei big alla Cop di Glasgow, la polvere degli effetti speciali si posa e si cominciano a intravedere i contorni della realtà. La performance di Boris Johnson è stata brillante sul piano oratorio (è la sua principale qualità), ma è bastato che tornasse a casa per scivolare sulla banale quotidianità. Banale per lui, perché scomodare un jet privato per il tragitto Glasgow – Londra (l’equivalente di Roma – Milano) per molti non è proprio quotidianità. In ogni caso non particolarmente coerente con il proposito di “disinnescare la crisi climatica, una bomba che provocherebbe la fine del mondo”. Dopo aver invocato il terrore per il Giudizio Finale che attende i peccatori climatici, il primo ministro inglese ha fatto il pieno di emissioni per evitare di perdere il giudizio sulla cena che lo aspettava con gli amici del Daily Telegraph, il suo vecchio giornale. Un peccato di gola che i media britannici non hanno mancato di sottolineare.

Anche perché nulla sfugge: questa Conferenza delle parti è particolarmente partecipata. L’attenzione alla Cop26 è cresciuta con citazioni online più che raddoppiate rispetto al totale relativo alla precedente Cop25. Certo, negli ultimi 30 giorni la serie Squid Game ha ricevuto sul web, a livello globale, oltre dieci volte le menzioni relative al summit di Glasgow (la ricerca è il risultato di un’analisi di quattro anni di dati di tendenza attraverso i social media, le notizie e le piattaforme di blogging, tra cui Twitter, YouTube, Instagram, Reddit, Tumblr e Google). Ma del resto gli ambientalisti hanno manifestato davanti al centro della conferenza in Scozia travestiti da personaggi di Squid Game. Quando l’immaginario coglie e anticipa i fatti è imbattibile: chapeau!

Purtroppo, tornando alla realtà prosaica dell’inquinamento, ci imbattiamo in una caduta di logica. Squid game sarà un filo angosciante, ma ha una consecutio chiara. Più tortuoso è l’andamento della kermesse sul clima che appare come una serie televisiva mal scritta, in cui i protagonisti si dimenticano quello che era stato detto nelle puntate precedenti.

Ieri, ad esempio, in un universo parallelo a quello della Cop, è rispuntato il nucleare come possibile opzione europea. Questa divagazione parte da un’intervista in cui il commissario europeo al Green Deal Frans Timmermans elenca una serie di problemi legati all’uso civile dell’energia atomica aggiungendo che saranno poi i singoli governi a decidere. Osservazione sull’equilibrio dei poteri impeccabile sul piano del diritto. Dobbiamo trarne un senso politico? Forse sarebbe legittimo chiedersi (prima) se ha un senso economico. Veramente l’Europa intende puntare su una fonte energetica che – a parte rischi su cui è inutile spendere parole vista la loro evidenza –  è fuori mercato dal punto di vista economico e dal punto di vista temporale?

Come ha osservato Legambiente, dal punto di vista economico oggi il chilowattora di energia elettrica prodotto dal nucleare costa più del doppio dell’energia prodotta dal fotovoltaico o dall’eolico. Secondo il World Nuclear Industry Status Report, nel 2020 produrre 1 kilowattora di elettricità con il fotovoltaico è costato in media nel mondo 3,7 dollari, con l’eolico 4,0 dollari, con il nucleare 16,3 dollari. Dal punto di vista temporale poi le tecnologie nucleari di quarta generazione sono impalpabili perché non esistono: la loro ipotetica realizzazione avverrebbe in uno scenario lontano, in cui i 2 gradi di aumento della temperatura sono già belli che andati e con buona probabilità ci sarebbe una tale carenza d’acqua da mettere a rischio il funzionamento delle centrali nucleari.

Provando a tornare a una politica che si esercita sulla realtà, troviamo alla Cop26 una giornata dedicata all’energia in cui, sia pure con mille cautele, si fa strada la disintossicazione dai combustibili fossili. La buona notizia è l’accordo di oltre 40 Paesi per ridurre l’uso del carbone nella produzione di elettricità. La cattiva notizia è che all’appello mancano Cina, India, Stati Uniti e Australia.

Insomma chi ha il carbone se lo vuole tenere. Resta da vedere fino a quando gli altri saranno interessati a comprare. Il documento approvato oggi contiene una dichiarazione sulla transizione dal carbone alle energie pulite promossa dal Regno Unito che impegna i Paesi – ma anche oltre 100 istituzioni finanziarie ed altre organizzazioni internazionali – a mettere fine a tutti gli investimenti che contemplano l’apertura di nuovi impianti a carbone per la produzione di energia e prevede l’uscita graduale dal carbone entro il decennio del 2030 per le principali economie ed entro il decennio del 2040 per il resto del mondo.

Nella quarta giornata della Cop26 la politica annuncia che 25 fra Paesi e istituzioni finanziarie si sono impegnati a porre fine ai sussidi alle fonti fossili alla fine del 2022 (anche se con qualche deroga). Tra loro c’è pure l’Italia. Altri 23 Paesi hanno promesso di smettere di produrre energia col carbone. Per la Ue con gli impegni presi a Glasgow si potrebbe mantenere il riscaldamento a 1,8-1,9 C, cioè dentro i limiti dell’accordo di Parigi. Ma nella stessa giornata, i centri di ricerca fanno sapere che le emissioni globali di gas serra nel 2021 aumenteranno del 4,9%. Tra il dire e il fare…

Insomma, comunque si concluda la Cop26 si tratterà di rimboccarsi le maniche una volta tornati a casa. Già, ma cosa ci attende nei prossimi mesi in Italia? “L’Italia è uno dei Paesi europei con la più alta dipendenza dall’importazione di fonti fossili dall’estero, quasi l’80% del fabbisogno di energia primaria: invertire questo dato, come abbiamo visto anche recentemente dalle dinamiche dei prezzi dell’energia, non solo è possibile ma rappresenta anche una importante opportunità di crescita economica e occupazionale”, ha dichiarato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Ma da sole le rinnovabili non bastano e bisogna agire anche sul lato domanda di energia, aspetto spesso sottovalutato. Secondo lo scenario di Italy for Climate, per tagliare le emissioni del 55% al 2030 e allinearsi ai nuovi impegni europei e all’obiettivo della neutralità carbonica sarà necessario nel decennio in corso tagliare i consumi di circa il 15%, un passo molto impegnativo che coinvolge tutti i settori, dall’edilizia ai trasporti fino ai comparti industriali”.

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