6 Novembre 2021

Giorno 5, COP26 DAY BY DAY – Lettere da Glasgow

Alla Cop26 è la giornata dei giovani. E i giovani festeggiano a modo loro

di Antonio Cianciullo

La quinta giornata era stata dedicata dalla Cop26 ai giovani. Ma i giovani hanno provveduto diversamente ad attirare l’attenzione su di loro e sulle difficoltà del loro futuro. Lo spazio se lo sono preso fuori dallo Scottish Event Campus dove ogni mattina, superando l’imbuto dei controlli di identità e delle procedure anti covid, si accalcano 40 mila tra delegati, osservatori e giornalisti.

La manifestazione per lo sciopero del clima organizzata dai Fridays for Future, con Greta Thunberg e Vanessa Nakate, è iniziata al Kelvingrove Park di Glasgow. Migliaia di persone, prevalentemente giovani, si sono raccolte nei viali del parco. In testa al corteo ragazzi delle popolazioni dell’Amazzonia, con i copricapo tradizionali. Il principe Carlo, erede al trono britannico, ha deciso di non accettare l’invito a partecipare alla marcia, ma ha diffuso sui suoi profili social le immagini di un incontro avuto ieri sera con Vanessa Nakate.

Slogan e cartelli dimostrano che la lentezza del processo negoziale sul clima è vissuta come una violenza da chi sa di dover pagare il prezzo più alto per i ritardi. Perché se è vero che già oggi il costo della crisi climatica è alto (nel 2020 dieci milioni di bambini sono stati costretti ad abbandonare le loro case a causa della crisi climatica), quando i ragazzi che oggi sfilano a Glasgow arriveranno alla piena età lavorativa dovranno affrontare difficoltà molto maggiori.

Come dicono gli striscioni del corteo non c’è un Pianeta B. Eppure l’enorme volume di denaro che si sta dedicando all’ipotesi di creare piccole isole abitabili su Marte indica un deragliamento dell’attenzione verso scenari distopici. E’ vero che la corsa allo spazio è sempre servita ad affinare tecnologie che si sono rivelate preziose sulla Terra (a cominciare dal fotovoltaico). Ma è anche chiaro che, di fronte ai pericoli che si profilano, i giovani abitanti del Pianeta A, il nostro, chiedono che al primo posto ci sia la difesa degli ecosistemi che oggi proteggono 8 miliardi di persone e domani ne dovrebbero proteggere 10 miliardi.

La Cop26 è “un fallimento”, un “esercizio di pubbliche relazioni”, due settimane di “bla-bla” ha detto durante la manifestazione Greta Thunberg accusando i leader mondiali di non fare nulla. “Non possiamo risolvere una crisi con gli stessi metodi che l’hanno provocata. Non vogliamo impegni pieni di scappatoie”.

In realtà a tirarsi indietro non sono tanto i Paesi ricchi quanto quelli che lo stanno diventando o lo vogliono diventare. Dallo stop al carbone alla data delle emissioni nette zero Cina e India guidano il partito del rinvio. Eppure la cronaca si prende le sue rivincite. Ieri, venerdì, livelli di particolato fine rilevati da una stazione di monitoraggio dell’ambasciata Usa a Pechino hanno raggiunto quota 220, a fronte del limite di 15 raccomandato dall’Oms. Alle autorità di Pechino non è rimasto che ordinare l’interruzione nelle scuole delle attività di educazione fisica e delle attività all’aperto. Sono stati anche chiusi alcuni tratti autostradali.

E’ una crescita progressiva del costo sociale della crisi climatica che colpisce più duramente i Paesi che hanno avuto uno sviluppo industriale minore e dunque minori responsabilità. “La nostra consapevolezza del rischio era già forte alla Cop25 di Madrid, nel 2019, soprattutto a causa delle inondazioni che avevano colpito il Paese e la capitale Nairobi”, ha detto Kaluki Paul Mutuku, l’attivista kenyano co-fondatore del Kenya Environmental Activists Network. “Poi siamo stati colpiti dall’invasione di locuste, con gravissimi danni alle coltivazioni e alle rendite dei contadini, e dagli incendi: abbiamo toccato con mano le conseguenze della crisi climatica”.

Un trend che comincia a essere registrato con chiarezza anche alle conferenze sul clima. A Glasgow l’inviato Usa per il clima, John Kerry, ha detto che i Paesi più sviluppati consegneranno ‘nel 2022 cento miliardi di dollari’ in finanziamenti per la transizione ecologica e l’adattamento alle nazioni più povere, con un anticipo di un anno rispetto alle previsioni delle Nazioni Unite (ma con un ritardo di due anni rispetto agli impegni precedentemente assunti).

Tuttavia onorare l’impegno dei 100 miliardi non chiude la questione. La prossima settimana infatti si discuterà il capitolo loss and damage. I 100 miliardi sono per agevolare il passaggio verso la green economy, ma non risolvono il contenzioso sui danni subiti. Un tema su cui le cause legali stanno sfiorando quota 2 mila.

 

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