8 Novembre 2021

Giorno 7, COP26 DAY BY DAY – Lettere da Glasgow

A Glasgow il Paese ombra dei combustibili fossili

di Antonio Cianciullo

 

L’articolo 6 del documento finale è il cuore della trattativa alla conferenza sul clima di Glasgow. Ma è un segreto ben nascosto. Si parla di meccanismi economici ed è un tasto delicato. Per l’ala più radicale del movimento ambientalista, piccola ma con la voce alta, bisogna far diminuire la produzione, altro che rafforzarla dando spazio alle industrie green. E per il fronte dei fossili ogni anno di business as usual è un anno di buoni profitti, dunque meglio tergiversare. Due punti di vista che convergono nel desiderio di screditare il processo negoziale.

Processo che per la verità presta il fianco a molte critiche e nell’arco dei prossimi giorni rischia molto. Tuttavia l’obiettivo da raggiungere è razionale e difficilmente accusabile di estremismo. La produzione di gas serra è una forma di alterazione degli ecosistemi simile a quella prodotta da altri inquinanti da tempo regolamentati in maniera più o meno severa (da forme di disincentivo economico al divieto). Simile ma su scala ben diversa. Molti degli inquinanti su cui i vari Parlamenti si sono esercitati hanno prodotto effetti gravi ma su scala locale e spesso temporalmente limitata. I gas serra invece agiscono su scala globale e hanno effetti misurabili nei secoli.

Dunque calcolare il costo di questa forma di inquinamento prodotta e farla pagare agli inquinatori appartiene alla logica di mercato. Dare regole trasparenti e certezza di diritto al mercato delle emissioni di carbonio è la soluzione moderata, non quella estremista che – a fronte di un rischio così ampio nel tempo e nello spazio – prevede un divieto secco come quello utilizzato per molti altri inquinanti, dal piombo nella benzina ai pesticidi più pericolosi.

Questo quadro fatica a emergere anche perché, a rendere meno limpide le acque del dibattito, si stanno muovendo in tanti. La Bbc ha riportato una notizia curiosa. Un dato fornito dalla ong Global Witness. Alla Cop di Glasgow il Paese più rappresentato è un Paese ombra, il Paese dei produttori di combustibili fossili. Ci sono più delegati associati all’industria dei combustibili fossili di quelli che rappresentano i singoli Paesi durante i lavori della conferenza Onu sul clima.

Gli attivisti hanno controllato gli elenchi dei partecipanti e individuato, tra gli accreditati, ben 503 persone con legami con il settore dei fossili. Per fare un confronto, il Brasile, che ha il numero più alto di delegati tra i Paesi invitati, ne ha 479, mentre il Regno Unito, che organizza la conferenza, ne conta 230.

Non è l’unico segnale preoccupante. Dopo avere rifiutato di firmare l’impegno ad eliminare l’uso del carbone concordato da 40 Paesi, l’Australia ha rincarato la dose, sostenendo che continuerà a vendere carbone per decenni. “Abbiamo detto molto chiaramente che non chiuderemo le miniere di carbone e non chiuderemo le centrali a carbone”, ha detto il ministro australiano delle risorse Keith Pitt all’emittente ABC. Secondo l’esponente del governo australiano, la domanda di carbone dovrebbe aumentare fino al 2030.

E Greenpeace ha accusato l’Arabia saudita di lavorare per boicottare la conferenza, privandola di ogni contenuto di cambiamento. Dopo un’analisi effettuata sulla prima bozza del testo relativo alle decisioni finali, il giudizio dell’associazione ambientalista è che al momento si tratta di acqua fresca: “Non menziona i combustibili fossili, nonostante il consenso degli esperti sulla necessità di porre immediatamente fine a nuovi progetti per lo sfruttamento di carbone, petrolio e gas se si vuole raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi”.

A provare a riportare la Cop con i piedi per terra ieri è stato Obama che si diretto ai giovani (in un tweet Vanessa Nakate aveva polemizzato con lui: “Signor Obama, quando avevo 13 anni lei ha promesso 100 miliardi per la finanzi climatica. Gli Stati Uniti non hanno mantenuto quella promessa e questo costerà delle vite in Africa”):  “Avete ragione a essere arrabbiati, la mia generazione non ha fatto abbastanza. L’energia più importante di questo movimento viene dai giovani”.

“Il tempo sta scadendo: abbiamo fatto significativi progressi dall’accordo di Parigi ma dobbiamo fare di più. Siamo lontanissimi da dove dovremmo essere”, ha aggiunto l’ex presidente americano. “E’ stato molto scoraggiante vedere i leader di due dei maggiori Paesi emettitori, Cina e Russia, rifiutarsi persino di partecipare ai lavori, i loro piani nazionali riflettono quella che appare una pericolosa mancanza di urgenza”, ma d’altra parte per la lotta ai cambiamenti climatici “abbiamo bisogno di Russia, Cina e India”, “non possiamo lasciare in panchina nessuno”.

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