9 Novembre 2021

Giorno 8, COP26 DAY BY DAY – Lettere da Glasgow

Kerry: “Si arriverà a un accordo sullo scambio delle emissioni”

di Antonio Cianciullo

È un sentiero stretto. Molto stretto. Ma non impraticabile. Alla conferenza sul clima di Glasgow l’intesa passa per vie non convenzionali. Se i delegati vivessero in un mondo virtuale, popolato solo di paper non paper, commi in discussione e un testo con centinaia di parole messe tra parentesi per sottolineare la mancanza di accordo, rischierebbero di fare la fine dei cardinali che nel tredicesimo secolo dovevano eleggere il successore di Clemente IV e, non trovando un nome su cui concordare, restarono chiusi in conclave per un tempo così lungo che il popolo, esasperato, cominciò a ridurre le loro razioni e infine scoperchiò il tetto del palazzo.

Difficile immaginare che allo Scottish Event Campus di Glasgow si arrivi a tanto. Ma la dinamica decisionale è simile. A determinare la possibilità di sbloccare lo stallo sono in buona parte forze esterne: l’opinione pubblica, le imprese, gli enti locali. In realtà è lo stesso meccanismo delle Nazioni Unite a creare la difficoltà: si deve decidere all’unanimità e quindi bisogna avere il sì degli inquinatori e degli inquinati. Non facile. Anche perché, come ha denunciato Greenpeace, un gruppo di Paesi fortemente legato alla produzione dei combustibili fossili durante la fase istruttoria del processo di costruzione del testo finale ha cercato di edulcorarlo, eliminando ogni accenno alla necessità di cambiamenti reali e radicali.

Ma nel week end le strade di Glasgow sono state invase da 100 mila ragazzi, ambientalisti, rappresentanti dei popoli indigeni che hanno chiesto giustizia climatica. Richieste che hanno trovato sponda all’interno della conferenza. Ieri un gruppo di 50 Paesi si è impegnato a sviluppare sistemi sanitari resistenti al clima e a basse emissioni di carbonio. Quarantacinque di questi Paesi si sono anche impegnati a trasformare i propri sistemi sanitari in modo che siano più sostenibili e a basse emissioni di carbonio.

Gli impegni sono stati assunti nell’ambito del programma COP26 per la salute, una partnership tra il governo del Regno Unito, l’Organizzazione mondiale della sanità, i campioni del clima della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e gruppi sanitari, come Health Care Without Harm. Il governo delle Figi, ad esempio, sta rispondendo all’aumento dei cicloni, delle inondazioni improvvise e dell’innalzamento del livello del mare costruendo infrastrutture sanitarie più resistenti al clima, rafforzando la forza lavoro sanitaria e creando strutture di cura con servizi energetici sostenibili.

Un altro piccolo passo avanti, anche se evidentemente insufficiente. Per ora si registrano solo avanzamenti frutto di accordi volontari tra gli Stati su singole questioni. Altri segnali arrivano dal mondo delle imprese. Ad esempio ieri è stato reso noto che la quantità di elettricità prodotta negli Stati Uniti da impianti fotovoltaici ed eolici è quasi quadruplicata tra il 2011 e il 2020. Il dato si ricava dal rapporto pubblicato dall’Environment America Research and Policy Center e Frontier Group. Calcolando anche l’energia geotermica si può dire che le tre fonti rinnovabili registrano un incremento annuale di quasi il 15%.

Basteranno la vitalità crescente della green economy e la pressione dell’opinione pubblica a superare le resistenze del fronte dei combustibili fossili? Ieri l’inviato degli Stati Uniti per il clima John Kerry ha detto, in un’intervista all’agenzia Bloomberg, di ritenere che i negoziati alla Cop26 produrranno un accordo su un sistema di scambio delle emissioni, una meta che rappresenterebbe una grande vittoria dopo oltre sei anni di sforzi vani.

Raggiungere un accordo sulle regole per lo scambio di emissioni segnerebbe un punto di svolta per la diplomazia climatica, a patto che il sistema sia regolato da norme chiare e trasparenti in modo da evitare il rischio di trucchi contabili come quelli denunciati dal Washington Post. Secondo il giornale americano la differenza tra le emissioni reali e quelle dichiarate varrebbe da 8 a 13 gigatonnellate di CO2 equivalente all’anno.

Intanto cominciano a emergere le richieste per i fondi di compensazione del periodo successivo al 2025 (fino a quella data sono stati fissati 100 miliardi di dollari l’anno, non ancora pienamente pagati ai Paesi più colpiti, per operazioni di adattamento e mitigazione della crisi climatica). La proposta avanzata da un gruppo di Paesi africani, riportata dal Guardian, è un volume di finanziamenti da 700 miliardi di dollari all’anno per sostenere i Paesi dell’Africa nelle politiche di lotta e adattamento ai cambiamenti climatici.

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