14 Novembre 2023

Grandinate e piogge estreme, ma l’Italia è l’unico grande paese europeo senza piano di adattamento climatico

DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST

Siamo purtroppo, di nuovo, a contare vittime e danni. Di nuovo, in poche ore questa volta in Toscana è caduta la pioggia che normalmente richiederebbe giorni, settimane se non mesi. Ma cosa vuol dire oggi “normalmente”? Siamo oramai dentro una nuova fase della storia, caratterizzata da una “anormalità climatica permanente”, in cui quello che una volta si poteva considerare eccezionale semplicemente non lo è più. In una manciata di decenni la temperatura media planetaria è aumentata di oltre un grado centigrado. Questo vuol dire che c’è oggi un’enorme quantità in più di energia intrappolata nell’atmosfera. E questa energia ha già modificato i cicli idrologici locali e globali, dando vita ad un nuovo assetto climatico in cui certi eventi meteo dagli impatti potenzialmente catastrofici non sono più così rari (e neanche, forse, poco prevedibili).

Per illustrare come il riscaldamento globale influenza questi fenomeni , l’Ipcc ci ha spiegato che eventi meteorologici estremi che un tempo si verificavano una volta ogni dieci anni, e quindi si potevano considerare effettivamente eccezionali, con 1°C di temperatura in più si verificano una volta ogni tre anni, e se la temperatura cresce ancora di mezzo grado, arrivando alla fatidica soglia del +1,5°C, quell’evento una volta considerati eccezionale si verifica un anno si e uno no. E di eccezionale non ha più molto. Vale forse la pena di ricordare che oggi l’aumento della temperatura globale ha raggiunto 1,2 °C e che di questo passo il limite del  +1,5°C potrebbe essere superato in non moltissimi anni.

Questo vale a livello globale, ovviamente, e per l’Italia è lo stesso? In realtà da noi la crisi climatica cammina più velocemente. La nostra penisola, infatti, si trova al centro dell’hot spot climatico del mar Mediterraneo. Negli ultimi decenni nel nostro Paese abbiamo sperimentato un aumento della temperatura ben oltre la media mondiale e siamo oramai vicini a +3°C rispetto al periodo preindustriale. In un Paese così, caratterizzato da un “clima nuovo”, quali sono gli eventi che ancora possiamo considerare eccezionali e quali no?

In occasione della Conferenza nazionale sul clima di luglio, Italy for Climate ha pubblicato un rapporto che affrontava il nesso tra crisi climatica e risorsa idrica e conteneva alcuni dati sugli impatti della crisi climatica in Italia utili a comprendere il nuovo contesto. Tra il 1980 e il 2020 l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato in circa 90 miliardi di euro i danni economici causati in Italia dagli eventi meteo estremi. Ma questo dato non dice nulla sul trend, a cui invece bisogna guardare per comprendere dove stiamo realmente andando. Secondo i dati dello European Severe Weather Database, nel 2022 in Italia è stato raggiunto il record di duemila grandinate o piogge intense, +400% in appena cinque anni e con un trend stabilmente in crescita: in altri termini, appena fino a pochissimi anni fa all’interno dello stivale si contava in media una forte pioggia o grandinata al giorno, oggi sono diventate cinque. Ed è questa la nuova normalità con cui dobbiamo fare i conti.

Alcuni potrebbero obiettare che si tratti di fenomeni naturali su cui possiamo incidere poco o nulla. Ma non è così. In primo luogo, perché ad alimentare la crescita delle temperature siamo noi con le nostre emissioni di gas serra: quindi, la prima cosa da fare è staccare la spina al riscaldamento globale tagliando drasticamente le emissioni di gas serra. In secondo luogo, perché  dobbiamo mettere in sicurezza un territorio che sappiamo essere sempre più vulnerabile e abbiamo le conoscenze e le capacità per farlo. È molto triste anche solo doverlo pensare, ma forse i tragici eventi come quelli che negli ultimi giorni hanno colpito la Toscana potrebbero finalmente spingere un cambio di passo della politica che ponga il contrasto alla crisi climatica al vertice delle sue priorità. In Italia ci sono 12 milioni di persone, un abitante su cinque, che oggi vive in aree potenzialmente allagabili, mentre 5 milioni di edifici e oltre un milione di imprese sono minacciate da pericolosità idraulica medio-alta. Non è un dato immutabile. Possiamo invece fare moltissimo, da subito, per cambiare questa situazione.

Alcune delle soluzioni possibili sono state discusse proprio in queste ore agli Stati generali della green economy in occasione dell’evento “Un patto per l’acqua: le molteplici funzioni della risorsa idrica nello scenario dei cambiamenti climatici”. Ne cito solamente due tra tante, ma forse sono quelle più indicative dell’indirizzo strategico che dovremmo seguire per adattarci a questa nuova normalità. Il primo è quello di invertire il trend ultradecennale di artificializzazione dei corsi d’acqua restituendo loro gli spazi necessari per poter assorbire, senza danni e senza vittime, piogge anche più intense di quelle di questi giorni. Il secondo è quello di arrestare l’impermeabilizzazione di nuovo suolo, che aumenta i rischi connessi agli eventi di precipitazioni intense. Nonostante si discuta da anni di una Legge sul consumo di suolo, ancora nel solo 2021 sono stati impermeabilizzati 60 kmq l’equivalente di una città come Udine. Ovviamente queste misure per essere efficaci dovrebbero essere inserite all’interno di un quadro strategico più ampio, di livello almeno nazionale e di ampio respiro. Per questo dobbiamo augurarci che, anche a seguito di questi eventi, l’Italia cessi di essere l’unico grande Paese europeo a non aver ancora oggi formalmente adottato il Piano nazionale di adattamento previsto dalla normativa comunitaria. Sappiamo di essere oramai vicini all’agognato traguardo, speriamo sia davvero questione di giorni, anche per rispetto di tutti quelli che in queste ore stanno letteralmente combattuto a volte letteralmente una battaglia di trincea contro gli effetti del cambiamento climatico.

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