2 Febbraio 2021

Il piano italiano per la ripresa e la resilienza debole nella transizione verde, da allineare con le indicazioni europee

a cura di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Da più parti si sottolinea che l’uscita dalla crisi di governo andrebbe ricercata in una chiara scelta europeista e nella definizione di un Piano nazionale per l’impiego delle risorse di Next Generation Eu efficace per uscire dalla crisi.

I due aspetti – europeismo ed efficacia del piano nazionale – sono in realtà inscindibilmente connessi. Il progetto europeo Next Generation EU promuove, infatti, misure  indispensabili all’Italia sia per la qualità della sua ripresa, sia per la sua  resilienza: per affrontare in modo adeguato la crisi in corso ed essere meno vulnerabile di fronte a quelle che  minacciano il nostro futuro. Va, inoltre, tenuto ben presente che l’accesso alle ingenti risorse di Next Generation EU non è  automatico, ma vincolato e subordinato al rispetto di condizioni che saranno sottoposte alla verifica della Commissione europea, prima del voto finale in Consiglio.

Queste condizioni sono riassunte nella “Guida agli Stati membri per la predisposizione dei Piani” della Commissione europea (Commission staff working document – Guidance to Member States- Recovery and Resilience Plans), pubblicata il 22 gennaio 2021, basata sui contenuti del Regolamento del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, risultante dall’accordo fra il Consiglio della UE e il Parlamento europeo del 18 dicembre 2020.

La Guida, strutturata in 4 parti, indica indirizzi precisi e un modello standard per la predisposizione dei Piani nazionali. In particolare il Piano nazionale dovrà  dettagliare i progetti, le misure e le riforme previste nelle  aree di intervento riconducibili a sei pilastri: 1) transizione verde; 2) trasformazione digitale; 3) crescita  sostenibile e ricerca; 4) coesione sociale e territoriale; 5) salute; 6) politiche per la prossima generazione, inclusa l’istruzione.

Nella Guida europea la transizione verde è indicata, non a caso, al primo posto. Se il piano deve puntare sulla ripresa e sulla resilienza, quindi sulla capacità di reagire anche alle crisi future, la transizione verde diventa centrale per ridurre la nostra vulnerabilità, sociale ed economica, di fronte alla crisi climatica ed ecologica.

La “resilienza”, nel dibattito italiano sul Piano, pare solo un’aggiunta d’ufficio alla denominazione del Piano, perché  prevista da quella europea. Per cogliere la portata della “resilienza” basta leggere le indicazioni della Guida europea per  la transizione verde nei piani nazionali che, infatti, dovrebbero:

 spiegare come le misure previste  siano coerenti con le priorità del Green Deal Europeo, in particolare come  il pieno rispetto delle priorità climatiche e ambientali dell’Unione e come ogni riforma e ogni investimento rispetti il ‘do no significant harm principle’ della tassonomia europea degli investimenti ecosostenibili;

–  allocare almeno il 37% del totale per l’azione climatica, indicando come il  piano raggiunga questo target e spiegando come le misure finanziate e le riforme contribuiscano a raggiungere i target climatici al 2030 e la neutralità climatica al 2050. Specificando, in particolare, gli impatti delle riforme e degli investimenti del piano sulla riduzione delle emissioni di gas serra, per la quota delle energie rinnovabili, l’efficienza energetica, l’integrazione del sistema energetico, le nuove tecnologie energetiche pulite e l’interconnessione elettrica;

– contribuire al raggiungimento degli obiettivi ambientali europei, anche con l’uso delle più avanzate tecnologie digitali, compresa la protezione delle acque e delle risorse marine, la transizione all’economia circolare, la prevenzione dei rifiuti e il riciclo, la prevenzione dell’inquinamento, la protezione e il ripristino di ecosistemi e a rendere più ecologiche le aree urbane.

La proposta di Piano italiano all’esame del Parlamento, confrontata con la Guida europea, risulta ben più debole proprio nel primo pilastro di Next Generation EU: la transizione verde, indispensabile per la qualità della ripresa e per la sua resilienza. L’analisi degli impatti, climatici e ambientali, utilizzando i criteri della tassonomia sugli investimenti eco-sostenibile, in questa proposta di Piano, infatti, non c’è.

Non sono indicate né le riforme, né la quantificazione degli investimenti necessari per l’azione climatica: dalle voci presenti si deduce che siamo lontani dal 37% (circa 77,7 miliardi ), non viene esplicitato quali riforme siano necessarie e quali misure vanno finanziate per raggiungere il nuovo e impegnativo target di riduzione del 55% delle emissioni al 2030, né quali effetti di riduzione dei gas serra producano le riforme e gli investimenti  previsti dal Piano.

Sugli altri obiettivi ambientali vi sono nel Piano maggiori riferimenti, ma con alcune carenze rilevanti. La portata della transizione all’economia circolare è sottovalutata, sia nelle riforme, sia negli investimenti: si dovrebbe almeno indirizzare prioritariamente il nuovo stanziamento per “Transizione 4.0” a misure precise, da indicare puntualmente, per tale transizione.

La biodiversità non è esplicitamente citata: andrebbe introdotta, in particolare con risorse destinate alla protezione e al ripristino degli ecosistemi. Per rendere più ecologiche le aree urbane servirebbero molte più risorse di quelle previste dalla proposta di Piano, in particolare per la mobilità urbana sostenibile che richiede  anche importanti riforme.

Dei circa 67 miliardi di Next Generation EU destinati dalla proposta di Piano italiano alla transizione verde, oltre 30 sono impiegati per sostituire finanziamenti già stanziati per progetti già “in essere”. Il Piano non indica i criteri seguiti per tale scelta e non spiega come mai una quota così alta – nettamente la più alta fra tutte le 6 missioni – sia stata destinata a progetti già “in essere” proprio per la transizione verde, riducendo quindi notevolmente le disponibilità per nuovi progetti in questa missione.

Per allineare la transizione verde del Piano italiano con le indicazioni della Guida europea servono maggiori risorse di Next Generation EU per nuovi progetti che potrebbero essere liberate riducendo la quota destinata a progetti già “in essere”, che beneficiano di altri finanziamenti già stanziati. Sarà bene, anche su questo nodo, verificare l’applicazione dei criteri europei che limitano questa possibilità, compreso quello che ammette ai finanziamenti di Next Generation EU solo misure avviate a partire dal 1º febbraio 2020.

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