9 Maggio 2023
La difesa del clima passa dall’India: se usa il carbone ci giochiamo l’acqua
DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST
Secondo le Nazioni unite, quest’anno la popolazione indiana supererà quella cinese e l’India diventerà il Paese più popoloso del mondo, ospitando quasi il 18% della popolazione mondiale. Si potrebbe pensare che il nuovo gigante asiatico possa ripercorrere le orme della potenza cinese che con la crescita degli ultimi due decenni ha cambiato gli equilibri planetari tanto economici quanto ambientali. Ma questo scenario è davvero plausibile e, soprattutto, auspicabile?
Partiamo dall’analizzare, innanzitutto, il recente percorso compiuto dalla Cina. A cavallo del nuovo millennio, questo Paese ha vissuto un boom economico senza precedenti. Il reddito pro capite, che alla fine degli anni ’90 del secolo scorso era quasi un terzo della media mondiale, ha cominciato a crescere esponenzialmente e, proprio nel pieno della pandemia, ha colmato completamente il gap che lo separava dalla media mondiale. Purtroppo, questo miracolo economico è stato alimentato dallo sviluppo di un sistema energetico insostenibile basato in primo luogo dalla crescita del carbone per la produzione di energia elettrica. Nel primo decennio del nuovo millennio, le emissioni di gas serra della Cina sono triplicate, superando già nel 2006 anche quelle degli Usa e diventando il primo emettitore a livello mondiale. Oggi le emissioni cinesi sono equivalenti a quelle di Usa, Unione europea e India messi insieme (i principali emettitori globali, esclusa ovviamente la Cina). E in un anno un cittadino cinese emette in media più CO2 di un europeo, pur avendo ancora meno della metà del reddito annuale.
A causa di questa dinamica, la Cina è stata la principale responsabile del fatto che, nonostante i risultati delle trattative internazionali sul clima, le emissioni mondiali di gas serra, invece di rallentare, hanno cominciato inaspettatamente a correre. Nei primi dieci anni del XXI secolo le emissioni sono cresciute di circa il 3% all’anno, un tasso simile a quello che aveva caratterizzato il boom economico degli anni ‘60 e ’70, prima delle crisi petrolifere, e tre volte tanto quanto è stato registrato nei vent’anni successivi. Circa i due terzi di tutto l’aumento registrato in questo “decennio inaspettato” è stato prodotto proprio in Cina. Se le emissioni di questo Paese avessero continuato a crescere a un ritmo più “normale”, oggi avremmo il 15-20% di emissioni in meno a livello mondiale.
Sappiamo che ci restano una manciata di anni per invertire il trend globale delle emissioni di gas serra e contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale. L’India rappresenta un attore decisivo in questa sfida. Fino agli anni ’90 aveva un reddito ed emissioni pro capite del tutto paragonabili a quello della Cina. Oggi le emissioni pro capite di gas serra di un indiano sono ancora pari a poco più di 2 tonnellate di gas serra all’anno, meno della metà della media mondiale, un terzo di un europeo, un quarto di un cinese e un sesto di uno statunitense. Più o meno lo stesso vale per il reddito e uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile è quello di far uscire centinaia di milioni di indiani da condizioni di povertà estrema.
Negli ultimi dieci anni il reddito medio di un indiano è cresciuto di oltre il 50% in termini reali, ma le emissioni di gas serra del Paese sono aumentate nello stesso periodo di circa un miliardo di tonnellate, rappresentando un terzo di tutta la crescita mondiale. Nel 2022 le emissioni dell’India hanno superato per la prima volta quelle dell’Unione europea, facendola diventare il terzo grande emettitore globale dopo Cina e Usa. Si tratta di un ritmo ancora molto lontano da quello della Cina degli “anni d’oro”, in cui le emissioni aumentavano di oltre mezzo miliardo di tonnellate ogni anno.
Se oggi l’India ripercorresse davvero le orme della Cina di un ventennio fa, vorrebbe dire aggiungere in pochi anni circa 10 miliardi di tonnellate all’annodi emissioni di gas serra a quelle attuali: qualsiasi obiettivo di limitare l’aumento delle temperature globali sotto 1,5 o anche 2 gradi rispetto al periodo preindustriale sarebbe irrimediabilmente compromesso. Siccità e alluvioni rischierebbero di diventare all’ordine del giorno. Tuttavia, oggi, rispetto a vent’anni fa, esistono soluzioni tecnologiche a costi competitivi allora impensabili. La sfida che attende il Paese più popoloso del mondo è quella di riuscire a rompere le logiche tradizionali dello sviluppo trovando una strada nuova per garantire la prosperità economica a centinaia di milioni di persone senza passare per lo sfruttamento di fonti fossili inquinanti e approdando, ad esempio, direttamente a un modello di generazione elettrica interamente rinnovabile. È in realtà una sfida per tutti noi.