6 Dicembre 2019

Le emissioni nel 2018 crescono ancora: anche con tutti gli impegni supereremo la soglia dei 3°C

Nel 2018 è stato raggiunto un nuovo record per le emissioni di gas serra globali: oltre 55 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente sono state immesse in atmosfera, registrando un +2% sull’anno precedente e confermando il trend di crescita media annuo dell’1,5% dell’ultimo decennio. Lo registra l’Emission Gap Report 2019, il Rapporto annuale del Programma Ambientale delle Nazioni Unite che ogni anno fa il punto sull’andamento delle emissioni globali e sul gap da colmare per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Secondo il rapporto, a dominare il trend di crescita sono le emissioni di COderivante dalla combustione di fonti fossili, che nel 2018 sono cresciute del 2% rispetto all’anno precedente e hanno raggiunto un nuovo record di oltre 37 miliardi di tonnellate di CO2. Oltre ad una panoramica sugli attuali trend emissivi mondiali, il rapporto analizza ogni anno il divario fra le politiche pianificate dai Governi e gli obiettivi climatici previsti dall’accordo di Parigi.

Anche quest’anno l’analisi ribadisce che se non invertiamo urgentemente la rotta siamo destinati a superare i 3°C di innalzamento della temperatura globale a fine secolo, con impatti imprevedibili e devastanti sull’umanità e sugli ecosistemi: infatti, tenendo conto degli impegni finora presi dai Paesi nell’ambito dell’Accordo di Parigi, le emissioni globali al 2030 non diminuiranno, bensì si stabilizzeranno ai livelli attuali.

Al contrario, per centrare l’obiettivo di contenimento dell’innalzamento della temperatura media globale entro i 2°C, facendo ogni sforzo per perseguire il limite di 1,5°C, dovremmo ridurre drasticamente le emissioni globali di gas serra fino a dimezzarle al 2030 rispetto ai livelli attuali, ovvero raggiungere circa 25 miliardi di tonnellate di COequivalente a fine decennio. Questo significa che ad oggi per il 2030 sussiste un emission gap di almeno 30 miliardi di tonnellate, che deve essere al più presto colmato con una forte revisione al rialzo degli impegni dei Governi, e l’anno che sta per iniziare appare l’ultima finestra temporale che abbiamo per rimetterci in linea con l’Accordo di Parigi.

Ma chi sono i responsabili di questa crescita delle emissioni che non accenna ad interrompersi? La risposta può variare a seconda del dato osservato. In termini complessivi e territoriali, il primo posto fra i maggiori emettitori appartiene ormai da oltre 15 anni alla Cina che, rappresentando un quarto delle emissioni di gas serra globali, è l’ago della bilancia del trend mondiale e ha visto le proprie emissioni salire dell’1,8% nell’ultimo anno. Il secondo posto (13% delle emissioni globali) è ricoperto dagli USA, mentre al terzo posto troviamo l’Unione Europea (8%). Con riferimento invece alle emissioni pro-capite, la classifica cambia notevolmente: la Cina passa al quarto posto, con quasi 10 tonnellate di CO2 equivalente per abitante, superando di poco l’Unione Europea; al primo posto troviamo storicamente gli Stati Uniti, con oltre 20 tonnellate per abitante, seguito dalla Russia e dal Giappone.

L’edizione 2019 riporta poi una nuova interessante analisi, che mette a confronto le emissioni di CO2 di alcuni top emitters contabilizzate territorialmente (quelle riportate poco sopra) con le emissioni degli stessi Paesi sulla base del loro consumo interno di energia e di beni, ovvero imputando al Paese di destinazione le emissioni “contenute” nei beni consumati a prescindere da dove questi – con le relative emissioni – siano stati prodotti.

Per quanto riguarda le emissioni complessive, il ranking finale non cambia, tuttavia le emissioni globali “consumate” in Cina si riducono di circa il 15%: questo perché molta della produzione cinese è destinata all’export, e dunque lo stesso accade per le emissioni in essa contenute; analogamente, UE e USA risultano al contrario importatori di CO2, per cui le loro emissioni al consumo risultano ben superiori a quelle territoriali. Nel dato pro-capite basato sul consumo, gli Stati Uniti restano ancora più saldamente primi della classe, mentre se ad oggi le emissioni pro-capite prodotte in Cina sono di poco superiori a quelle dell’UE, considerando il dato al consumo le due posizioni si invertono e il divario fra i due si accentua notevolmente, soprattutto a causa della rilevante importazione di emissioni registrata in Europa.

Siamo dunque tutti responsabili di questa crisi climatica e l’operato di Paesi meno virtuosi non ci esenta dalla responsabilità di agire presto e in modo incisivo. Ogni anno che passa senza riuscire a ridurre le emissioni si traduce in costi crescenti che verranno scaricati sugli anni a venire, e come oramai ampiamente dimostrato da numerosi studi e ricerche, il costo dell’inazione è di gran lunga più grande di quello che dovremmo sostenere per mitigare la crisi climatica.

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