11 Novembre 2021

Misurare le performance climatiche delle Regioni italiane: la proposta metodologica di i4c

A cura di Andrea Barbabella

Italy for Climate ha da poco presentato il primo Ranking delle Regioni italiane sul clima, realizzato in collaborazione con Ispra. Alla base di questa iniziativa c’è la convinzione che come Paese non saremo in grado di rispettare i nostri impegni climatici senza il pieno coinvolgimento delle Regioni, che hanno competenze in numerosi settori chiave per la decarbonizzazione, dai trasporti alle fonti rinnovabili, dagli impianti industriali alle politiche insediative. E anche che allo stato attuale, in assenza di obiettivi e vincoli precisi, difficilmente qualche Regione italiana possa dirsi in linea con i nuovi obiettivi comunitari sul clima (come poi effettivamente emergerà dai risultati dell’analisi).

Obiettivo di questa iniziativa è, in primo luogo, quello di stimolare un dibattito il più possibile ampio su un tema tanto importante, oggi per lo più relegato a discorsi tra addetti ai lavori. Da qui la scelta di rappresentare le performance regionali in forma di classifica, approccio che, a scapito di una certa semplificazione, ha il vantaggio di comunicare i risultati di analisi anche complesse in modo sintetico e facilmente comprensibile a tutti. Ma vediamo di seguito anche quali sono le altre scelte metodologiche di base, per dare modo così al lettore di riuscire a interpretare correttamente i risultati.

Il set degli indicatori: quali aspetti ci interessano

La fase più importante in un’operazione come questa è certamente la selezione degli indicatori. Coerentemente con le finalità del lavoro, abbiamo voluto evitare di costruire liste di indicatori troppo ampie, che rendono gioco forza i risultati meno trasparenti e facili da interpretare. Allo stesso tempo, pur essendo la prima volta che veniva presentato almeno in Italia un lavoro del genere, abbiamo cercato di rifarci a criteri e metodi il più possibile solidi e condivisi. Abbiamo così deciso di utilizzare i tre parametri chiave delle politiche climatiche europee: le emissioni di gas serra, i consumi finali di energia e la quota del fabbisogno energetico coperto da fonti rinnovabili. Si tratta dei tre parametri su cui, a livello di Unione europea e di Stati membri, si misurano le performance climatiche in relazione ai prossimi target del 2030. Inoltre, altra cosa a cui abbiamo dato un peso rilevante, possono essere popolati facendo ricorso ai dati delle statistiche ufficiali (Ispra e Gse in particolare). Ognuno di questi tre parametri lo abbiamo analizzato in termini di stato, ossia guardando la fotografia dell’ultimo anno disponibile (il 2019 per questa edizione), e di trend, valutando il miglioramento (o peggioramento) rilevato nell’ultimo biennio (dal 2017 al 2019). Complessivamente, quindi, il ranking si basa su un set di sei indicatori, tre c.d. di stato e tre di trend.

I confini del sistema: cosa stiamo misurando

Tutti gli indicatori utilizzati sono indicatori territoriali, nel senso che misurano tutte le emissioni generate, tutta l’energia consumata, tutte le rinnovabili prodotte e consumate all’interno dei confini di un territorio, nel caso specifico quello di una Regione. Esattamente come avviene per la rendicontazione degli accordi globali sul clima e degli impegni comunitari. Considerato l’approccio utilizzato, in premessa al documento abbiamo sottolineato come il ranking metta a confronto in primo luogo dei territori e quello che essi contengono, e quindi debba essere utilizzato con molta cautela ai fini della valutazione delle politiche regionali. La principale critica che viene mossa a questo approccio è quella per cui una Regione che ad esempio ospitasse siti produttivi ad elevate emissioni di gas serra si vedrebbe in qualche modo penalizzata per questo, mentre una Regione che ospitasse un elevato numero di impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili avrebbe maggiori possibilità di avere buone performance. Tuttavia a tale critica si può obiettare che quel particolare impianto ha ricadute dirette sul territorio non solo ambientali ma anche economiche e sociali, diventando parte integrante dello stile di vita di una determinata comunità. In secondo luogo il parere delle Amministrazioni regionali, a prescindere dalle dimensioni e dalle tipologie degli impianti, ha sempre un peso molto rilevante ai fini della realizzazione finale di tale opera.

Il parametro di normalizzazione: cosa stiamo confrontando

Trattandosi di una analisi comparativa, è importante che gli indicatori scelti consentano un confronto significativo, nel caso in questione delle performance climatiche. Nel caso delle emissioni di gas serra e dei consumi di energia, abbiamo rapportato questi parametri alla popolazione residente, utilizzandola come parametro normalizzante e mettendo a confronto le Regioni sulla base dei c.d. valori pro capite. Una critica a tale approccio, in particolare da parte dei fautori dell’utilizzo del Pil come parametro di normalizzazione, si richiama al fatto che così facendo non si tiene adeguatamente conto della struttura produttiva di un determinato territorio, penalizzando quelli maggiormente industrializzati. Ma sono diverse le considerazioni che ci hanno spinto ad optare per questa scelta, tra cui:

  • guardando all’obiettivo finale, che è l’azzeramento delle emissioni nette totali, questo comporta che all’incirca ogni cittadino dovrebbe arrivare a emissioni nette nulle, senza distinzioni in funzione del luogo in cui abita;
  • l’utilizzo di emissioni e consumi pro capite è quello più rispettoso del principio di equità intra-generazionale, in quanto attribuisce ad ogni individuo lo stesso spazio ambientale, ossia la possibilità di consumare risorse e capitale naturale, indipendentemente dal luogo di nascita dal censo;
  • il fatto che il Pil di una determinato territorio sia più o meno alto è del tutto ininfluente ai fini della stabilizzazione climatica, inoltre l’idea che economie più ricche automaticamente siano autorizzate a inquinare di più è oramai falsificato dai dati e con lo sviluppo della green economy è semmai vero il contrario, economie più ricche ed economicamente avanzate dispongono di tecnologie e capacità di investimento maggiori per ridurre i propri impatti sull’ambiente.

Nel caso delle rinnovabili la scelta è stata più semplice, utilizzando il rapporto tra il consumo di energia rinnovabile (termica ed elettrica) e il consumo totale di energia di un territorio, coerentemente con l’impostazione della Direttiva comunitaria di riferimento.

Il metodo di combinazione: come si genera la classifica finale

Per poter definire una classifica finale è stato necessario comporre i risultati dei singoli indicatori. Per questo esistono una gran quantità di metodi e approcci differenti, più o meno diffusi, più o meno complessi. Una caratteristica che spesso accomuna tutti questi metodi e approcci è l’utilizzo di algoritmi non sempre immediatamente comprensibili e il fatto di restituire il risultato finale attraverso un parametro adimensionale (ad esempio un punteggio variabile in un determinato range) difficile da interpretare. Per questo abbiamo deciso di adottare un metodo estremamente semplificato, che presenta certamente dei limiti in termini di rispetto della complessità di un sistema a sei variabili, ma che d’altra parte consente di capire immediatamente come si arriva al risultato. L’approccio scelto prevede, infatti, che il punteggio finale di ogni Regione sia il numero di indicatori che presentano performance migliori della media nazionale. Nella classifica finale ad ogni Regione viene quindi attribuito un numero variabile tra 0 (tutti gli indicatori sono peggiori della media nazionale) a 6 (tutti gli indicatori sono migliori della media nazionale). Va osservato come questo approccio non restituisca una vera e propria classifica, quanto piuttosto una classifica a gruppi, in cui all’interno di ogni gruppo non c’è distinzione tra le Regioni che presentano lo stesso numero di indicatori, anche diversi, migliori della media.

Possibili miglioramenti in vista della prossima edizione

Quello appena presentato è il primo ranking in Italia delle performance regionali sul clima e potrà essere certamente migliorato in vista della prossima edizione del 2022. Tra gli aspetti che certamente dovranno essere riconsiderati, i due più importanti probabilmente sono:

  • l’assenza di target che tengano conto di oggettive specificità regionali (ad esempio il potenziale di sviluppo sul territorio di determinate tecnologie rinnovabili, oppure caratteristiche climatiche che inducono maggiori consumi termici di energia). Peraltro, nel gergo tecnico, per definizione un indicatore di performance dovrebbe misurare la distanza da uno specifico target. Purtroppo i target climatici nazionali non sono ancora stati ripartiti tra le singole Regioni che, quindi, non rispondono ufficialmente di tali traguardi. Qualora si realizzasse ufficialmente un burden sharing dei target climatici nazionali a scala regionale, cosa che ci auguriamo fortemente, sarebbe opportuno rivedere gli indicatori associando ad ognuno uno specifico obiettivo quantitativamente e temporalmente definito;
  • per l’indicatore delle emissioni di gas serra l’esclusione dal calcolo dei c.d. assorbimenti di carbonio, essenzialmente da suolo e foreste, che specie a lungo termine saranno importanti per raggiungere l’obiettivo delle emissioni nette pari a zero (ossia del bilancio tra emissioni effettive e assorbimenti). Pur essendo calcolate da Ispra anche a scala regionale, ad oggi non sono ancora noti i criteri con cui questi assorbimenti potranno essere contabilizzati ai fini del target di emissioni nette pari a zero (anche a livello europeo la discussione è ancora in corso). Nel momento in cui tali criteri verranno formalmente definiti, probabilmente già dalla prossima edizione dell’iniziativa, gli assorbimenti potranno essere inclusi nel calcolo dell’indicatore.
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