13 Settembre 2021

Nessun dubbio per la scienza: la crisi climatica sta accelerando e sarà sempre più imprevedibile

di Chiara Montanini

“È inequivocabile che l’influenza umana sia alla base del surriscaldamento dell’atmosfera, degli oceani e del suolo”. Si apre così il Sixth Assessment Report (AR6), Climate Change 2021: The Physical Science Basis l’ultimo Rapporto dell’IPCC (l’organo tecnico delle Nazioni Unite sul clima) che aggiorna e raccoglie le evidenze scientifiche sul cambiamento climatico, attuale e futuro. Il Rapporto conferma in larga parte e integra con nuove evidenze quanto gli scienziati già conoscevano (e allarmavano) in merito alla crisi climatica, con un messaggio triplice e molto chiaro: uno, la crisi climatica sta accelerando drasticamente, più di quanto si pensava anche solo pochi anni fa, e non vi è ombra di dubbio che sia frutto dell’azione umana, in particolare delle emissioni antropogeniche di CO2; due, gli impatti della crisi climatica sono già realtà e saranno sempre più intensi, frequenti, imponderabili, e in alcuni casi sono già irreversibili; tre, ridurre drasticamente le emissioni di gas serra è l’unico modo che abbiamo per contenere i danni più ingenti che la crisi climatica sta già causando non solo all’ambiente, ma anche alle nostre economie e società.

La scienza non ha dubbi: a causare l’aumento globale delle temperature, il più veloce degli ultimi 2.000 anni, sono le emissioni di CO2, la cui concentrazione in atmosfera ha raggiunto una media di 410 parti per milione nel 2019: il valore più alto mai registrato negli ultimi 2 milioni di anni. Dal 1980, ogni decade è stata sempre più calda della precedente e il 2020 ha chiuso il decennio più caldo di sempre: +1,1 °C circa rispetto alla media del periodo pre-industriale (1850-1900). Secondo gli esperti dell’IPCC, questo aumento è da attribuire quasi esclusivamente all’azione umana, mentre i driver naturali e le variabilità interne del clima hanno avuto un impatto nel medio e lungo termine pressoché nullo.

È soprattutto rispetto agli impatti della crisi climatica, inclusi gli eventi estremi, che questo Rapporto aggiorna le evidenze scientifiche, raffinando (e in molti casi aggravando) le stime che erano state formulate anche pochi anni fa. Picchi di temperature estremamente alte, incluse le ondate di calore, stanno diventando sempre più frequenti e più intensi nella maggior parte del globo, e la colpa è delle emissioni antropogeniche. Per lo stesso motivo stanno diventando sempre più frequenti anche i cd “eventi estremi combinati” (compound extreme events), che moltiplicano in modo imprevedibile i danni all’ambiente, alle persone e alle cose: incendi estesi e perduranti per la combinazione di periodi siccitosi, molto caldi e anche ventosi; disastri alluvionali per la combinazione di piogge intense e tempeste anomale; ondate di calore durante periodi già a lungo a siccitosi.

Ma a preoccupare gli scienziati è soprattutto il fatto che gli impatti della crisi climatica sono destinati a prolungarsi ancora per secoli, se non addirittura millenni, anche in uno scenario (ad oggi irrealisticamente ottimistico) di contenimento della crisi stessa. Questi impatti di lungo periodo includono soprattutto lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari e l’acidificazione degli oceani. Il livello medio degli oceani si è innalzato molto più velocemente dal 1900 ad oggi, che non negli ultimi 3000 anni. Il livello dei mari è aumentato di circa 20 cm nell’ultimo secolo, ma la gran parte di questo innalzamento è avvenuto negli ultimi decenni: se fino al 1970 l’aumento medio è stato di circa 0,1 cm ogni anno, negli ultimi 15 anni si è arrivati ad una crescita media di ben 3,7 cm ogni anno. E la crescita si protrarrà a ritmi elevati anche per i prossimi decenni, con il livello medio dei mari che potrebbe arrivare ad essere, rispetto ad oggi, anche un metro più alto entro la fine del secolo, e fino a 3 metri più alto entro i prossimi 2.000 anni.

Cosa dovremmo fare per cercare di ridurre al minimo questi impatti? La risposta dell’IPCC non è cambiata: dobbiamo contenere l’aumento della temperatura globale alla fine del secolo entro 1,5 °C rispetto al periodo pre-industriale, e possiamo farlo solo riducendo drasticamente le emissioni di gas serra. Più nello specifico, dobbiamo azzerare le emissioni di CO2 intorno al 2050 (raggiungendo la cd. neutralità carbonica, ovvero le zero emissioni nette di CO2, che contano circa i tre quarti di tutti i gas serra). Naturalmente anche gli altri gas serra (metano, ossido di diazoto, F-gas) dovranno ridursi significativamente, ma non se ne prevede il completo azzeramento negli scenari climatici dell’IPCC.

Se la neutralità carbonica sarà raggiunta con un ritardo di vent’anni (intorno al 2070), il mondo raggiungerà i +2 °C a fine secolo: sarebbero 3 milioni di anni, secondo alcuni scienziati, che il mondo non vive una temperatura così alta. E anche se non sembra, mezzo grado in più può fare molta differenza in termini di effetti della crisi climatica, perché più aumentiamo la concentrazione di CO2 in atmosfera, più le risposte del sistema climatico saranno frequenti, intense e in gran parte imprevedibili. Ma anche perché con l’aumento della concentrazione di CO2 potrebbero attivarsi dei meccanismi cd auto-rafforzanti che renderebbero sempre più difficile mitigare la crisi in corso. Un esempio riguarda proprio il concetto stesso di neutralità carbonica, la quale prevede la necessità di assorbire una piccola parte di emissioni residue con sistemi naturali o artificiali, per poter arrivare all’obiettivo di zero emissioni nette di CO2 intorno al 2050. Secondo l’IPCC, più aumentiamo la concentrazione di CO2 in atmosfera e meno i sistemi naturali (gli oceani e il suolo) riescono ad assorbire il carbonio in maniera efficace, costringendoci a perseguire maggiori tagli in termini di emissione o aumentare ancora di più gli assorbimenti tramite sistemi cd tecnologici (ad esempio impianti di cattura della CO2 atmosferica).

Ma anche qui niente di nuovo: ogni giorno che lasceremo passare senza agire con determinazione si tradurrà in un maggiore sforzo che dovremo fare domani. O in costi esponenzialmente sempre più alti che dovremo pagare. E alla Next Generation chi ci pensa?

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