10 Giugno 2024
Pochi tagli ai gas serra, ritardi sulle rinnovabili: l’Italia arranca nella corsa europea
DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST
Nel dibattito in vista delle prossime elezioni europee il clima e la transizione energetica stanno svolgendo un ruolo tutt’altro che marginale. In particolare, su alcuni temi – come la produzione agricola, l’auto elettrica o le case green – lo scontro è particolarmente acceso. E, come purtroppo oramai accade sistematicamente per argomenti come questi, si basa spesso su prese di posizione ideologiche, pregiudizi e scarsa conoscenza dei temi affrontati. Gli ingredienti ideali per alimentare quei falsi miti la cui principale funzione è proprio quella di distrarre l’attenzione dalla sostanza delle cose da fare per affrontare in modo efficace una crisi climatica che sembra sempre più senza controllo.
Per fare luce su alcuni di questi falsi miti, con Italy for climate abbiamo realizzato il nuovo rapporto “Europa, un voto per il clima”cercando di rispondere a dubbi o incertezze con numeri e dati scientificamente solidi. Una sezione del documento è dedicata a confrontare le prestazioni dei 27 Stati membri in materia di transizione energetica attraverso 22 indicatori articolati in otto aree tematiche (emissioni, rinnovabili, efficienza, vulnerabilità, industria, agricoltura, trasporti ed edifici). Spesso, dal dibattito in corso sembrerebbe emergere l’idea che l’Italia stia facendo troppo in materia di contrasto alla crisi climatica rispetto alle altre grandi economie europee e che questo eccesso di zelo possa ritorcersi contro i nostri legittimi interessi di parte. Ma è davvero così? Cosa ci raccontano questi 22 indicatori?
Partiamo dalla stella polare delle politiche climatiche, ossia la riduzione delle emissioni di gas serra. Per scoprire che, con poco meno del 20% tra il 1990 e il 2022, l’Italia le ha tagliate decisamente meno della media europea, che ha raggiunto oramai il 30%, ma anche del 25% della Francia o del 40% della Germania. Questa performance è diretta conseguenza di quanto accaduto nell’ambito degli altri due pilastri delle politiche climatiche, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Per quanto riguarda la prima, attingendo ai dati del progetto europeo “Odyssee mure” che monitora le performance degli Stati membri su vari ambiti dell’efficientamento energetico, notiamo che l’Italia tra il 2000 e il 2021 ha conseguito un risparmio energetico complessivo di meno del 20%, dato ancora una volta inferiore alla media europea ma che soprattutto colloca il nostro Paese nella non felicissima posizione di terzultimo su 27 e dietro comunque a tutte le altre grandi economie dell’Unione.
Non abbiamo ridotto abbastanza il nostro fabbisogno di energia, dunque, ma non abbiamo neanche conseguito grandi miglioramenti nel mix energetico. Nel 2022 la quota dei consumi energetici nazionali soddisfatti da fonti rinnovabili è al 19%, meno del 23% della media europea e di tutti i grandi dell’Ue con la sola eccezione della Polonia. Su questo dato ha inciso in modo determinante la dinamica degli ultimi anni e, in particolare, lo stallo della crescita di quelle rinnovabili elettriche di cui, fino a non moltissimi anni fa, eravamo tra i leader al mondo a cominciare proprio dal fotovoltaico. Negli ultimi due anni, a dire il vero, abbiamo ripreso un po’ a correre, passando da una media di un GW scarso all’anno di nuovi impianti a quasi 6 GW nel 2023: sono però ancora pochi per traguardare gli obiettivi al 2030. Soprattutto se confrontati con i 18 GW messi a terra in un solo anno dalla Germania.
Analizzando i singoli settori, il quadro appena rappresentato si collega bene in particolare a quanto accade nei trasporti e negli edifici. Nei trasporti, le emissioni pro capite più alte della media europea sono figlie di un tasso di motorizzazione tradizionalmente elevato: nel 2022 in Italia c’erano più di 680 automobili ogni mille abitanti. Fanno peggio di noi solamente Polonia e Lussemburgo. Allo stesso tempo delle nuove auto immatricolate nel 2023, appena il 4,2% è elettrico: quintultimi nella classifica europea e lontanissimi dal quasi 15% della media europea o da valori sopra il 30% di diversi Paesi nordici.
Anche sugli edifici non stiamo facendo più degli altri, tutt’altro. Rappresentando quasi la metà del consumo nazionale di energia, peraltro, questo settore è probabilmente il principale responsabile degli scarsi progressi nelle performance generali di efficienza energetica. Tra il 2000 e il 2021 in questo settore nella Ue è stato ottenuto in media un risparmio energetico di quasi il 30%: l’Italia è ferma al 14%, quartultima. Questa immobilità in un settore strategico come quello edilizio si traduce in un consumo medio per abitazione, a parità di condizioni climatiche, più alto di oltre il 30% rispetto alla media europea, posizionando il nostro Paese ancora una volta tra gli ultimi cinque della classifica.
Per chiudere con una nota di ottimismo, possiamo dire che le cose vanno un po’ meglio nei settori produttivi. Il settore industriale, molto importante per la seconda manifattura europea, presenta ad esempio un valore medio di consumi di energia per ogni euro di valore aggiunto prodotto migliore della media, il che posiziona il nostro Paese nella top ten della classifica europea. Come anche più alti della media europea sono i risparmi energetici nell’ultimo ventennio e il livello di elettrificazione raggiunto, segnali di un settore ancora molto dinamico. Ma ancora meglio fa il comparto agricolo, anche questo una eccellenza produttiva a livello europeo e non solo, che presenta i livelli di emissioni di gas serra per euro di valore aggiunto prodotto più bassi d’Europa (fa eccezione Malta che però ha una attività davvero limitata in questo settore) e con una estensione della superficie agricola biologica quasi doppia rispetto alla media europea e a Francia e Germania.
La rappresentazione dell’Italia che esce dall’ultimo report di Italy for climate, con qualche lodevole eccezione, non è, insomma, quella di un Paese che nella corsa verso la neutralità climatica abbia lanciato il cuore oltre l’ostacolo e per questo rischi di subire la concorrenza di competitor decisamente più prudenti. Sembra, al contrario, l’immagine di un Paese che non sta credendo fino in fondo nelle proprie capacità e che non sta correndo abbastanza, rischiando in questo modo perdere progressivamente leadership nei settori e nelle tecnologie su cui stanno già oggi investendo i mercati globali.