18 Novembre 2024
Rallentare sull’azione climatica? Tre imprese italiane su 4 dicono il contrario
🌐 𝘪𝘯𝘴𝘪𝘨𝘩𝘵𝘊𝘖𝘗29 è la nostra iniziativa per riportare e analizzare le prospettive e le aspettative derivanti dai lavori attualmente in corso durante questi giorni di COP.
DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU GREEN&BLUE
Alla Cop29 il mondo delle imprese, considerato un attore sempre più importante nella transizione ecologica ed energetica e nel processo di decarbonizzazione dell’economia globale, sarà ampiamente rappresentato e, soprattutto, sarà chiamato direttamente in causa in diversi dossier caldi, come ad esempio quello del c.d. Articolo 6 sui mercati dei crediti di carbonio o su quello che è il vero tema al centro della conferenza di Baku, ossia quanto e come finanziare la transizione e l’adattamento alla crisi climatica in corso. Per capire cosa pensino le imprenditrici e gli imprenditori della lotta alla crisi climatica, Italy for Climate insieme ad AIDAF, l’Associazione italiana delle aziende familiari che raggruppa oggi oltre 300 imprese, ha realizzato e condotto un’indagine tra le proprie associate. Ne parliamo con Giovanna Gregori, Consigliera Delegata di AIDAF.
“Le elezioni europee così come quelle americane, con una delle primissime dichiarazioni da parte del Presidente neoeletto sull’intenzione di uscire (nuovamente!) dall’Accordo di Parigi, si sono giocate anche sui temi del clima e della transizione green. Tra gli oggetti del contendere, c’è l’opportunità o meno di accelerare sulla via della transizione ecologica e, in particolare, energetica. Una certa narrativa raccomanda prudenza, perché un impegno eccessivo sul clima potrebbe mettere a repentaglio la competitività delle imprese. Cosa emerge dalla vostra indagine e qual è il suo pensiero?”
Partendo dai risultati del Global Risk Report presentato al World Economic Forum di Davos a gennaio 2024, nella prima domanda del survey abbiamo chiesto alle aziende se fossero d’accordo sul fatto che i cambiamenti climatici rappresentino il primo rischio per il progresso economico e di conseguenza per il benessere delle persone nei prossimi 10 anni: il 76% degli intervistati concorda con questa affermazione, riconoscendo quindi l’impatto diretto che la crisi climatica avrà sull’economia.
Non solo: rispondendo al successivo set di domande su Green Deal Europeo, il 72% ritiene che l’Ue debba puntare sulla green economy perché la transizione ecologica è un’opportunità industriale, oltre che ambientale, mentre il 76% pensa che all’Italia convenga accelerare sulla transizione energetica, che viene vista come opportunità di sviluppo.
Certamente, la preoccupazione per gli aspetti di compliance europea, il peso burocratico e gli investimenti che essi implicano non sono certo trascurabili, ma queste risposte indicano chiaramente come le imprese familiari siano abituate a guardare al lungo termine e siano desiderose di consegnare alle generazioni future un’azienda che abbia creato più valore di quanto ne abbia preso, la vera legacy del family business.
“Sul come perseguire questa transizione sembrerebbe, però, esserci meno chiarezza. Alla Cop28 di Dubai la comunità internazionale ha fissato un obiettivo di progressivo allontanamento dai combustibili fossili (il celebre “transitioning away from fossil fuels”) e un target ben preciso sulle fonti rinnovabili, la cui potenza installata a scala globale dovrebbe triplicare nel giro dei prossimi sei anni. Eppure, permane una certa incertezza sul potenziale reale delle fonti rinnovabili, che spinge ad esempio a tirare in ballo tecnologie come il nucleare, nonostante i costi e limiti ben noti delle attuali tecnologie. Incertezza che potrebbe anche essere collegata anche a una mancanza di dati affidabili e aggiornati, o no?”
Come sappiamo, si sono sviluppati e diffusi molti falsi miti sul tema delle rinnovabili, che creano incertezza e disorientamento. Non a caso, proprio con Italy for Climate stiamo lavorando per informare ed educare tutta la nostra base associativa con un approccio scientifico lontano da qualsiasi ideologia su questi temi. Guardando i risultati dell’indagine, solo un rispondente su tre concorda che le energie da fonti rinnovabili costino meno delle fossili e che sia possibile in tempi relativamente brevi arrivare a una produzione alimentata completamente da energie rinnovabili. Anche sui loro costi c’è perplessità, tanto che il numero di astenuti e indecisi su queste domande raggiunge quasi la metà. Quando invece parliamo di nucleare, circa il 50% degli intervistati ritiene che i tempi di realizzazione di un nucleare sicuro e accessibile siano ancora troppo incerti.
“Ma qual è davvero il ruolo che le imprese possono e devono svolgere in questa delicatissima fase? C’è chi ritiene che il contrasto alla crisi climatica sia e debba continuare a essere per lo più affare di Governi e accordi internazionali. Ma c’è anche chi vede nelle imprese degli attori chiave che potrebbero sbloccare una situazione che sembra sempre più in stallo partendo, diciamo, dal basso e rimboccandosi le maniche in prima persone. Cosa ne pensano gli imprenditori familiari italiani? E quali sono i principali ostacoli al loro impegno e gli strumenti su cui puntare maggiormente?”
Emerge con chiarezza la consapevolezza del ruolo che il settore privato può e deve avere nella transizione, un ruolo che anche i cittadini e i consumatori riconoscono, tanto che nell’ultimo Edelman Trust Barometer la fiducia riposta nelle imprese supera ormai quella nelle istituzioni. Questo senso di responsabilità verso la comunità, la società e l’ambiente, che soprattutto nelle famiglie imprenditoriali italiani ha una profonda radice storica di stampo olivettiano, spesso non è però supportato, come abbiamo già accennato, da un’informazione completa e adeguata su questi temi (in particolare quello dell’energia). Senza questa base è difficile anche immaginare di investire sugli strumenti necessari alla transizione stessa. Nonostante ciò, e nonostante la pressione burocratica della compliance, che risulta essere uno degli ostacoli più comunemente segnalati insieme all’investimento richiesto (ancora incerto) per portarla a compimento, il 76% degli intervistati si è detto d’accordo sul fatto che “gli imprenditori dovrebbero attivare di propria iniziativa strategie e processi di decarbonizzazione del proprio business”. Le principali azioni intraprese dichiarate nell’indagine vanno dall’installazione in sede di impianti a fonti rinnovabili alla misurazione e alla conseguente definizione di obiettivi interni e budget dedicati, fino a delineare una vera e propria carbon strategy per ridurre progressivamente le emissioni in un percorso verso la neutralità climatica. Quando si sono approfondite le motivazioni alla base di queste scelte, la lista parte dai benefici reputazionali e di mercato per arrivare ai minori rischi strategici e alle maggiori opportunità per investimenti e partnership: tutti elementi che parlano di una sostenibilità integrata nella strategia e nel business, in cui profitto e impatto positivo non risultano più in contrapposizione, bensì finalmente accoppiati.
“Negli ultimi anni abbiamo visto impennarsi il numero di imprese che adottano strategie di decarbonizzazione, che fissano obiettivi di decarbonizzazione sempre più sfidanti, che puntano sempre di più sul proprio impegno climatico ed ambientale anche per posizionarsi su un mercato sempre più esigente. Abbiamo assistito all’entrata in scena di forme di comunicazione sempre più spinte e visto crescere anche il numero di scandali e denunce di forme di comunicazione ai limiti (e oltre, in alcuni casi) del greenwashing. Per paura di finire sotto attacco, alcune imprese pur in buona fede hanno deciso di non comunicare affatto il proprio impegno ambientale, entrando appieno nella più recente categoria del c.d. greenhushing. Per chiudere, quello della necessità di aumentare il proprio impegno per il Pianeta e al tempo stesso evitare forme di comunicazione diciamo inopportune è un tema certamente al centro dell’attenzione del mondo delle imprese: si troverà una equilibrata via di uscita?”
Purtroppo anche il greenwashing a volte è figlio della disinformazione, che rimane uno degli aspetti fondamentali per creare una cultura della sostenibilità nel suo senso più ampio: conquistarla e consolidarla, a partire dalle imprese, andrebbe a equilibrare anche gli aspetti di comunicazione. Comunicare troppo e in modo ingannevole è certamente più grave, nei confronti dei consumatori, che non comunicare affatto, ma è anche vero che abbiamo disperatamente bisogno di portare alla ribalta buone pratiche, storie di azione e di successo che siano di esempio e ispirazione per chi ancora ha dubbi e incertezze su come affrontare questo momento cruciale nella storia dell’umanità, che non a caso chiamiamo ‘transizione’, ma che ormai necessita di un’accelerazione e di una spinta importante.