4 Marzo 2021

Si conferma il crollo delle emissioni globali nel 2020, ma a causa della Cina il rebound è già iniziato

A causa della pandemia da Covid-19, le emissioni mondiali di CO2 nel 2020 sono diminuite del 5,8% rispetto all’anno precedente: la riduzione percentuale annua più alta dalla seconda guerra mondiale e, in valore assoluto, con quasi 2 miliardi di tonnellate di CO2 (GtCO2) in meno, è il crollo più forte mai registrato in un solo anno.

A confermarlo è la IEA, l’Agenzia internazionale dell’energia, che ha reso noti i primi dati sui consumi energetici e le relative emissioni di CO2 nel mondo attraverso l’articolo “Global Energy Review: CO2 Emissions in 2020”.

Fin dai primi mesi della pandemia da Covid-19 l’Agenzia ha portato avanti una importante attività di monitoraggio dei dati di settore nelle diverse aree geografiche, mese per mese, potendo quindi oggi fornire una dettagliata fotografia delle prime stime sugli attuali trend energetici ed emissivi globali e sui relativi impatti della pandemia nel 2020.

Secondo la IEA, le emissioni di CO2 da usi energetici nel 2020 si sono ridotte fino a 31,5 GtCO2, raggiungendo gli stessi livelli di dieci anni fa. La riduzione complessiva è da ricondursi per oltre la metà (-1,2 GtCO2) al crollo della domanda di prodotti petroliferi connesso alla riduzione della domanda di mobilità, soprattutto del trasporto su strada e del trasporto aereo. Il secondo contributo alla riduzione delle emissioni (-0,6 GtCO2) deriva dal minor ricorso al carbone per la generazione elettrica mentre la domanda di gas ha subito nel complesso una riduzione più contenuta, e dunque ha avuto un contributo marginale nel crollo delle emissioni (-0,2 GtCO2).

Sebbene il forte arresto delle emissioni possa sembrare una buona notizia, purtroppo la fotografia della IEA non fornisce dati rassicuranti per la crisi climatica, e anzi conferma i timori espressi dagli esperti del settore. Già nella seconda metà del 2020, con l’allentamento delle misure restrittive, la riduzione delle emissioni globali rispetto allo stesso periodo del 2019 è andata riducendosi, fino ad arrivare a dicembre 2020 in cui le emissioni hanno persino superato i livelli del 2019 del 2% su base mensile (vedi grafico).

Si tratta del cd. “effetto rebound”, il cui rischio era stato segnalato anche da Italy for Climate nel Dossier sugli impatti del lockdown in Italia: le crisi economiche causano solitamente una riduzione delle emissioni, ma come già accaduto in occasione di altre crisi del passato, in corrispondenza di una ripresa economica (seppure lieve, come in questo caso), in assenza di adeguate misure di ripresa compatibili con la crisi climatica, le emissioni subiscono un “effetto rimbalzo” e tornano a crescere, talvolta anche più di prima.

Si tratta di un effetto che, se non sarà fortemente contrastato con politiche di green recovery mirate ed efficaci, rischia di compromettere il raggiungimento dei target climatici per il prossimo decennio e di vanificare le speranze che il 2019 possa essere stato l’anno di picco delle emissioni di gas serra nel mondo.

Come sempre accade però, la fotografia globale nasconde una distribuzione delle cause e degli effetti molto diversificata fra le diverse aree del mondo. Stando ai dati della IEA, è ancora la Cina il principale responsabile degli attuali trend negativi sulle emissioni, complice anche il fatto che per prima – e più stabilmente – ha allentato le misure restrittive e continua a puntare sul rilancio massiccio dell’uso del carbone. Infatti, mentre l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno registrato per tutti i mesi dell’anno una riduzione delle emissioni significativa (con picchi mensili di -20%) rispetto allo stesso periodo del 2019, in Cina il trend di riduzione è durato solo fino a marzo, e dal mese di aprile le emissioni si sono attestate sempre in crescita (+5% in media) rispetto ai livelli del 2019 (vedi grafico)

La Cina è l’unico tra i grandi Paesi emettitori che su base annua nel 2020 registrerà, secondo la IEA, una crescita delle emissioni di CO2 (+0,8%), in piena controtendenza con tutti gli altri principali emettitori che registrano invece una significativa contrazione: in primis USA, Unione Europea e Regno Unito (intorno al 10% di riduzione), ma anche India, Russia, Brasile e Giappone (fra il 5 e l’8% di riduzione).

“Alla base delle enormi emissioni di gas serra della Cina e del loro aumento – afferma il Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile in uno dei suoi ultimi editoriali sull’Huffington Postc’è una precisa scelta del governo cinese: quella di puntare in modo massiccio sull’uso del carbone. L’uso del carbone in Cina è la causa del 79% delle sue emissioni di CO2. Nel 2019 la Cina ha consumato 2.864 milioni di tonnellate di carbone, il 53% del carbone consumato nel mondo, con un aumento dell’11,5% di quello che consumava nel 2010. Se non ferma questo trend – continua Edo Ronchi – la Cina viola un accordo internazionale, quello di Parigi per il clima, che pure ha sottoscritto perché con il suo enorme impatto contribuisce, in modo rilevante, a generare effetti globali, in palese contrasto con l’obiettivo, fissato da quel trattato internazionale, di contenere l’aumento delle temperature ben al di sotto dei 2°C”.

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