24 Maggio 2023

Siamo senza una legge per il clima. L’Italia, colpita e vulnerabile, non sta facendo la sua parte

DI EDO RONCHI, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST

Romagna acquaIl 16 e il 17 maggio sulla Romagna sono caduti fino a 250 litri di acqua al metro quadrato, su terreni già inzuppati per precipitazioni intense che c’erano state anche dall’1 al 3 maggio. Su questo territorio, in due settimane, è caduta la pioggia che solitamente cadeva in sei mesi. Precipitazioni così intense, concentrate in brevi periodi, hanno interessato, negli ultimi anni, varie parti d’Italia, causando numerose alluvioni: dal 2013 abbiamo avuto 29 alluvioni, quasi 3 ogni anno. Il riscaldamento globale genera una maggiore evaporazione dell’acqua dagli oceani e dai mari, l’innalzamento della temperatura aumenta la quantità di vapore che può essere accumulata in un certo volume di aria: si originano così le condizioni per generare precipitazioni molto intense, concentrate in certi periodi. Fenomeno che, come abbiamo verificato, coesiste, in questa crisi climatica, con lunghi periodi di alte temperature e di siccità. Nel nostro Mediterraneo, oltre ai fenomeni descritti, la circolazione prevalente, sempre a causa del cambiamento climatico, è diventata quella verticale, con onde più lunghe e più lente che scaricano più pioggia su una stessa zona, aumentando le condizioni che portano ad alluvioni in Italia (Antonello Pasini, Fisico per il clima del CNR).

La crisi climatica è un fenomeno globale, ma l’Italia, così pesantemente colpita e vulnerabile, non sta facendo la sua parte per affrontarla, contenerla e contribuire a fermarla. Nel 2022 le emissioni di gas serra dell’Italia sono state pari a circa 418 milioni di tonnellate (Mton) di CO2 equiv. Dal 2014, nonostante il forte calo causato dalla pandemia nel 2020, le nostre emissioni sono calate molto poco: in media 2 Mton all’anno. Per rispettare i nostri impegni, europei e internazionali, dovremmo arrivare almeno a un taglio del 90% delle nostre attuali emissioni entro il 2050, quindi a un taglio di 14 Mton all’anno nei prossimi 27 anni: un passo 7 volte più veloce di quello che abbiamo tenuto negli ultimi 9 anni.

L’Italia non facendo la sua parte, contribuisce ad aggravare la crisi climatica che la sta colpendo così pesantemente. Come mai? I negazionisti della crisi climatica – dichiarati o dubbiosi – hanno un grosso peso politico e continuano, per non smentirsi dopo aver sostenuto per anni tesi risultate sballate, a seminare confusione, ad ostacolare e rinviare l’adozione delle misure incisive, necessarie per far fronte alla crisi climatica. Tirare in ballo gli ambientalisti come responsabili dell’alluvione pare un maldestro tentativo di distogliere l‘attenzione e forse anche di nascondere una coda di paglia. Quali opere avrebbero mai potuto impedire gli ambientalisti in Romagna? E quali possibilità avrebbero avuto queste opere di prevenire questa catastrofica alluvione?

Anche se la causa prima dell’alluvione catastrofica che ha colpito la Romagna è la crisi climatica, i suoi impatti avrebbero potuto essere resi meno devastanti se fossero state attuate adeguate misure di adattamento al cambiamento climatico: misure di prevenzione, per ridurre la vulnerabilità e aumentare la resilienza. E questo non vale solo per la Romagna, ma per le numerose aree a rischio, diffuse in varie regioni d’Italia. Il livello del rischio, in queste aree, con la crisi climatica è rapidamente cresciuto. Gran parte delle misure di prevenzione e di adattamento, previste dai vecchi programmi di prevenzione del dissesto idrogeologico vanno riprogettate, sono diventate in pochi anni molto più impegnative. In certe aree a elevato rischio, per fare qualche esempio, non basterà fermare il consumo di nuovo suolo, serviranno anche interventi di delocalizzazione, di recupero e rinaturalizzazione; gli alvei fluviali sono stati, spesso, ristretti e canalizzati, per laminare le nuove piene servirà ben altro di qualche cassa di espansione, occorrerà ripristinare zone golenali per poter espandere le nuove portate di piena e predisporre aree da allagare in caso di necessità; le infrastrutture (strade, ferrovie e reti elettriche, idriche e del gas) nelle aree a rischio, non andranno solo rispristinate, ma adeguate alle nuove condizioni con le quali dovremo fare i conti nei prossimi anni.

Quando siamo di fronte a un programma impegnativo di opere e interventi in Italia si discute molto di capacità di spesa e di procedure burocratiche: temi importanti da non ignorare. Credo tuttavia che, nel caso delle misure per la mitigazione e l’adattamento climatico, vi siano altri e più importanti fattori di freno che coinvolgono le motivazioni politiche. La visione politica dei negazionisti, che genera varie forme di opposizione alle misure climatiche, come ho già sottolineato, causa rilevante ritardi. Negli anni passati, di basso impegno sul clima, abbiamo avuto, tuttavia, governi di diverso tipo, anche a prevalenza di non negazionista, che ponevano la crisi climatica in una lista, spesso piuttosto lunga, di priorità. Una “lista di priorità“, nel nostro caso non è solo un ossimoro, ma prodotto dell’incapacità di cogliere la portata epocale della priorità climatica: mettendo diversi altri temi, anche importanti, sullo stesso piano, si sono evitate scelte impegnative e, a volte, scomode. Un conto è operare affinché la priorità climatica sia affrontata con una transizione, la più rapida possibile, verso l’azzeramento delle emissioni nette, cercando di attuare le misure necessarie nel modo più equo e più inclusivo possibile, con costi il più possibile contenuti, valorizzandone anche i vantaggi economici. Altro conto è mettere la transizione climatica sullo stesso piano della crescita economica o della difesa dell’occupazione così com’è, anche nei settori ad alte emissioni, oggetto di radicali e indispensabili cambiamenti. In questo secondo caso, passata la fase più calda dell’emergenza, si tornerebbe alla routine delle altre priorità della lista.

Finora, almeno, è andata così. L’Italia, infatti, è l’unico grande Paese europeo che non ha approvato una legge per il clima, (approvata da tempo in Germania, in Francia, in Spagna e nel Regno Unito): una legge che riconosca l’emergenza climatica, stabilisca le modalità per raggiugere la neutralità climatica entro il 2050, fissando i target delle tappe intermedie, gli impegni vincolanti e certi per i diversi settori, le procedure semplificate per realizzare gli impianti necessari, il coinvolgimento delle Regioni e dei Comuni, le misure economiche e fiscali per accompagnare la transizione e le misure prioritarie di adattamento ai cambiamenti climatici. Nel 2022 l’Italia ha ridotto la sua produzione di elettricità da fonti rinnovabili, dato il calo dell’idroelettrico e dato l’aumento di soli 3 GW di nuovo eolico e fotovoltaico, a fronte dell’aumento di 11 GW della Germania, dei 9 GW della Spagna e dei 5 GW della Francia: questa situazione critica non si risolve da sola, servono nuove misure normative.

In Italia si discute dei necessari risarcimenti e i ristori per i danni dell’alluvione, dei soldi da stanziare e di quelli da spendere, poco o nulla delle misure da attuare perché un’alluvione del genere non si ripeta con impatti così gravi, in quella e in altre zone. L’Italia – in attesa, dopo un lungo iter, del varo del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici – non dispone degli interventi normativi per rendere operative le misure, pur previste dal Piano, necessarie per prevenire, ridurre la vulnerabilità e aumentare la resilienza dei territori e delle città, a fronte dei crescenti rischi di alluvioni e frane.

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