28 Febbraio 2024

A Milano arriva la pioggia: l’inquinamento se ne va, i problemi restano

DI ANDREA BARBABELLA, PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE SU HUFFPOST

Oramai da diversi anni in Cina si sperimenta una tecnologia – il cloud seeding, l’inseminazione delle nuvole – per indurre artificialmente la pioggia e mitigare, così, gli impatti delle siccità sempre più frequenti, ma anche i fenomeni di inquinamento atmosferico più gravi. A quanto pare si tratta di una tecnologia dagli esiti ancora incerti e difficilmente potrebbe rappresentare la soluzione al problema dell’inquinamento da particolato che nei giorni scorsi ha messo al centro dei riflettori Milano, inserita più o meno a ragione nella poco lusinghiera top ten delle città più inquinate al mondo. Per fortuna ci ha pensato il Padreterno a dare una bella ripulita all’aria della città. E, come sempre accade, finita l’emergenza e spenti i riflettori dei media, si tornerà a pensare e a parlare di altro – di olimpiadi invernali, di elezioni, di influencer depressi – scordandosi molto velocemente dell’accaduto.

Peccato però che, anche se la pioggia avrà lavato l’aria tanto quanto basta per riportare i livelli di inquinamento nei limiti di legge, il problema della città di Milano, come quello di tutta la pianura padana, rimarrà lì esattamente dov’era. E questo è anche il risultato del difficile rapporto tra il mondo dell’informazione, sempre più avido di notizie in grado di sorprendere e stupire, e il racconto delle crisi ambientali che per lo più procedono a passo lento ma costante, prestandosi poco a un approccio gossipparo. Succede per il riscaldamento globale, con il dibattito che si riaccende solo in seguito a un’alluvione o ad una siccità (anche se, a onor del vero, ultimamente di clima se ne parla spesso, forse perché oramai passiamo senza soluzione di continuità da una crisi all’altra, o forse perché è diventato materia di contesa elettorale). E succede anche per l’inquinamento atmosferico, nonostante sia classificato come una delle principali cause di tumori al mondo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e ogni anno si lasci dietro una scia di 7 milioni di morti secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Di inquinamento atmosferico ce ne occupiamo solo quando le centraline lanciano l’allarme, registrando valori superiori ai limiti di legge. Eppure non lo scopriamo oggi che il bacino padano è una delle aree più critiche d’Europa per la qualità dell’aria. È critico perché ha una conformazione particolare che favorisce l’accumulo degli inquinanti: ma a meno che non si voglia davvero spianare qualche passo alpino per agevolare il ricambio d’aria, come propose un tramviere milanese in una storica puntata di Portobello di 40 e passa anni fa, questa è una realtà che non si cambia. Quello che invece si può e si deve cambiare è quello che succede dentro questa enorme bacinella naturale, in cui abitano milioni di persone e risiedono le principali attività produttive d’Italia, dalla manifattura alla produzione agricola.

Sia ben chiaro, di progressi negli anni ne sono stati fatti, se pensiamo ad esempio che, come Paese, negli ultimi trent’anni abbiamo tagliato le emissioni di particolato del 40%, che non è male, e che almeno in alcune aree di Milano negli anni ’70 le concentrazioni di particolato erano 4 o 5 volte maggiori di quelle che abbiamo oggi. Abbiamo migliorato, certo, ma non abbastanza, e in Italia continuiamo a pagare un prezzo altissimo all’inquinamento atmosferico, con decine di migliaia di morti ogni anno come ci raccontano i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente.

Per colmare il gap esistente tra ciò che sono oggi e ciò che invece dovrebbero essere le nostre città, dobbiamo cambiare passo e fare in modo che l’obiettivo della riduzione dell’inquinamento atmosferico riguardi trasversalmente politiche di settore e i diversi livelli amministrativi. In questo senso ci sono alcune cose che si potrebbero fare anche subito ma su cui l’attenzione non è sempre altissima. In primo luogo, fare in modo di non lasciare soli i sindaci, additati spesso come gli unici responsabili: la maggior parte del particolato che si respira al centro di una città come Milano, infatti, spesso proviene dall’esterno dei confini comunali e non può essere fermata unicamente con misure in ambito urbano, seppure necessarie.

Servono poi delle strategie e interventi di ampio spettro, che vadano a regolare su scala regionale e sovra-regionale anche settori il cui contributo è spesso sottovalutato, come quello delle emissioni del riscaldamento domestico o del settore agricolo. E c’è il contributo ancora troppo poco sfruttato dell’innovazione e della prevenzione: possiamo utilizzare modelli matematici che ci consentono di prevedere con anticipo quando la situazione sta diventando critica e di mettere in campo misure speciali prima che le concentrazioni degli inquinanti superino valori critici, perché allora sarà troppo tardi per intervenire e anche arrestando ogni attività umana potremmo continuare a respirare ancora per giorni un’aria che supera i valori di legge.

Ma dovremmo, infine, anche pensare a una responsabilità diffusa. Non solo nel senso di fare anche noi la nostra parte attraverso le nostre scelte quotidiane per contribuire a ridurre le emissioni. Ma anche assumendo comportamenti che ci insegnino a difenderci dall’inquinamento. Perché da un punto di vista della salute non sono importanti tanto le concentrazioni che determinati inquinanti raggiungono nell’aria, ma la quantità di questi composti che noi assumiamo nell’arco della giornata. In questo senso ci vengono incontro i risultati di studi avviati oramai da diversi anni per monitorare le dosi di inquinamento effettivamente assorbite da determinate categorie di persone. Come i ragazzi in età scolare, per i quali abbiamo scoperto che i momenti di massima esposizione, e quindi di massimo rischio, sono la mattina presto, il pomeriggio e attorno alle 20. Ossia quei pochi minuti durante l’entrata e l’uscita dalla scuola e la sera in casa mentre i genitori preparano la cena. Anche qui potremmo pensare a mettere subito in atto piccoli rimedi che aiuterebbero molto, come andare a scuola in bici o a piedi a scuola o impedire ai genitori di entrare in auto fin quasi dentro al cancello dell’edificio, o come accendere una buona cappa di aspirazione e arieggiare bene gli ambienti in cui cuciniamo.

Insomma, per l’inquinamento atmosferico come per altri problemi ambientali abbiamo tante soluzioni a portata di mano, spesso anche vincenti in termini economici e di qualità della vita, che dobbiamo trovare la forza di mettere in campo da subito. Perché la danza della pioggia non ci salverà.

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