1 Ottobre 2021

Ciò che c’è di vero dietro al “bla bla bla”: ancora troppo grande la distanza tra le parole e le azioni

A cura di Andrea Barbabella

Greta Thunberg è indubbiamente un personaggio divisivo, ma più che parlare del personaggio penso dovremmo entrare nel merito del messaggio che, attraverso di lei, una nuova generazione di ragazzi, sempre più attivi sul fronte delle tematiche ambientali, vuole in un modo o nell’altro trasmettere al “mondo degli adulti”. E che, traducendo l’oramai virale “bla bla bla” di Greta, si potrebbe sintetizzare così: la crisi climatica avanza spedita e, nonostante le dichiarazioni delle istituzioni e degli attori della società civile, le misure messe in campo e anche quelle programmate non sono adeguate. E, ahimè, su questo punto credo sia difficile dargli torto: vediamo brevemente perché.

Il principale indicatore di questo insuccesso è, prima di tutto, proprio il fatto di non essere ancora riusciti ad invertire il trend delle emissioni di gas serra, che anche dopo l’Accordo di Parigi hanno continuato a crescere. Fino ad arrivare al 2020, quando la pandemia globale ha interrotto questa folle corsa, facendoci sperare che la ripresa, grazie a “pacchetti di stimolo” più mirati ed efficaci di quelli della crisi finanziaria del 2008, sarebbe stata più green. Purtroppo così non è stato, come ci mostrano le stime per il 2021 della IEA sulle emissioni di CO2, il principale gas serra: con quasi un +5% rispetto all’anno precedente, in un solo anno abbiamo praticamente annullato tutta la riduzione di emissioni generata da una pandemia e un lockdown globali senza precedenti nella storia moderna. Per poter sperare di rallentare la crisi climatica in corso, senza precipitare in un vero e proprio caos climatico, dovremmo limitare l’aumento della temperatura media globale a non più di 1,5°C (siamo oggi ben sopra il +1°C). Per fare questo dovremmo quasi dimezzare le emissioni nette in meno di un decennio, quello in corso, per arrivare ad azzerarle nei vent’anni successivi. In questo quadro è difficile sostenere che le misure messe in campo ad oggi siano sufficienti e coerenti con gli impegni che quasi tutti i Governi del pianeta hanno preso a Parigi sei anni fa.

Ma un altro dato che fa riflettere e che penso sia alla base dell’attuale forma di protesta giovanile, è la distanza fra quello che i Governi dicono di voler fare e le azioni che stanno programmando da qui al 2030. Ad oggi sono ben 130 i Paesi che hanno già inserito all’interno di una legge o un documento di policy o che stanno discutendo di inserire un target di azzeramento delle emissioni nette entro la metà del secolo. È un messaggio senza dubbio molto rassicurante ma, a fronte di queste dichiarazioni, quali interventi stanno pianificando i Governi di questi Paese nei prossimi anni?

A questa domanda ci aiuta a rispondere il rapporto, presentato a metà settembre, direttamente a cura del Segretariato della UNFCCC. Il documento analizza gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra contenuti negli NDCs (Nationally Determined Contributions) presentati dalle 191 Parti che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi e che sono responsabili nel 2019 di 52,4 miliardi di tonnellate di gas serra (GtCO2eq) nel 2019, il 93,1% delle emissioni di gas serra globali (al netto delle emissioni e assorbimenti del settore LULUCF, derivanti cioè principalmente da deforestazione e cambiamento nell’uso del suolo).

Alla vigilia della tanto attesa Cop26 di Glasgow, il rapporto ci fornisce una rappresentazione che, purtroppo, non induce all’ottimismo. La lettura dei dati non è semplicissima ma, con un po’ di pazienza, i risultati principali si possono facilmente comprendere.

Immaginando che tutti gli impegni contenuti negli NDCs vengano pienamente conseguiti, fatto che già in sé non può essere dato per scontato, la somma degli impegni dei 191 firmatari porterebbe nel 2030 a 55,1 GtCO2eq e, quindi, a nessuna riduzione delle stesse. Che risulterebbero anzi cresciute del 16% rispetto al 2010, mentre dovrebbero diminuire del 25% per limitare il riscaldamento terrestre a 2°C e di ben il 45% per rispettare la soglia di 1,5°C, che è quella su cui si sta lavorando anche in vista della prossima COp26. Unico elemento di consolazione è che, rispetto ai primi NDCs presentati alla prima deadline (4 aprile 2016), che al 2030 avrebbero portato a un incremento del 24% delle emissioni sempre rispetto al 1990, le cose sono un po’ migliorare.

Il report svolge l’analisi su tutti gli NDCs presentati entro il 30 luglio 2021. Di questi solo una parte è stata aggiornata rispetto a quelli originari presentati nel 2016. Si tratta degli NDCs di 113 Parti, responsabili nel 2019 complessivamente di 24,4 GtCO2eq, il 465 delle emissioni globali di gas serra. Si tratta degli impegni nuovi o rivisti al rialzo con i quali gli stati dovrebbero aver visto al rialzo le proprie ambizioni proprio per renderle coerenti con il limite di 1,5°C e l’obiettivo della neutralità carbonica entro la metà del secolo. Analizzando in modo isolato solo questi NDCs “avanzati”, al 2030 la stima è questa volta di una riduzione delle emissioni complessive rispetto al 2010. Una buona notizia, se non fosse che il taglio stimato, del 12%, è ancora molto lontano da quello necessario sia per rispettare il limite dei 2°C (sarebbe necessario almeno il doppio) sia per quello di 1,5°C (sarebbe necessario addirittura il quadruplo).

Insomma, Greta Thumberg può piacere o no, ma a parer mio che il mondo degli adulti farebbe meglio a concentrarsi sulle risposte da dare al pianeta e ai nostri ragazzi, piuttosto che buttarla sul gossip…

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