12 Febbraio 2024

Cosa è la neutralità climatica e qual è il ruolo degli assorbimenti?

Da quando abbiamo siglato l’Accordo di Parigi nel 2015, la comunità scientifica ha individuato un obiettivo di riduzione delle emissioni globali definito “neutralità climatica” che dovremo raggiungere entro il 2050. Ma cosa significa esattamente neutralità climatica?

Vuole forse dire che il 31 dicembre del 2049, allo scoccare della mezzanotte, non dovrà essere emesso più neanche un grammo di anidride carbonica dalle attività umane? Non proprio. Neutralità climatica, infatti, significa raggiungere le “zero emissioni nette”, ovvero un completo bilanciamento tra la quantità di emissioni di gas serra che ancora produrremo e quelle che riusciremo ad assorbire dall’atmosfera ad esempio grazie alla crescita delle foreste o a specifiche soluzioni tecnologiche. Ecco perché spesso l’obiettivo di neutralità climatica viene anche chiamato obiettivo Net Zero. Per raggiungere questo obiettivo, la comunità scientifica ci dice che bisogna prima di ogni cosa ridurre drasticamente le emissioni prodotte dalle attività umane, e in primo luogo dal consumo di combustibili fossili, in modo graduale ma deciso, fino ad arrivare verso il 2050 a produrre un livello molto residuale di emissioni che non saremo in grado di abbattere per limiti tecnologici. Questo vuol dire che, entro la metà del secolo, il sistema energetico sarà quasi del tutto decarbonizzato in primo luogo – ma non solo – grazie alle fonti rinnovabili, di cui si prevede un aumento esponenziale nei prossimi anni. Le emissioni residue di cui non potremo liberarci, deriveranno solo in piccolissima parte dall’utilizzo dei fossili nei processi energetici, mentre ad essere preponderanti saranno altre fonti chiamate “non energetiche”, fra cui alcuni processi industriali e le attività di agricoltura e allevamento.

Zero emissioni nette significa, dunque, che queste emissioni residuali al 2050 dovranno essere interamente neutralizzate, o compensate, grazie agli assorbimenti. Si parla sia di assorbimenti naturali, ovvero di boschi e foreste, che di assorbimenti tecnologici, ovvero delle soluzioni di cattura e stoccaggio/utilizzo dell’anidride carbonica (la c.d. CCS). Queste ultime sono tecnologie ancora in larga parte oggi sperimentali, sui cui effettivi potenziali di crescita non è facile fare previsioni certe, per questo nei principali scenari globali rivestono spesso un ruolo tutto sommato limitato. Ma anche sugli assorbimenti naturali, a cominciare da quelli forestali, possiamo contare fino a un certo punto: basti pensare che ancora oggi il sistema agricolo e forestale è in realtà un emettitore netto di anidride carbonica, perché la crescita delle foreste di tutto il mondo riesce a compensare solo circa la metà delle emissioni prodotte dalla deforestazione e dall’agricoltura. Per questo sono urgenti nuove politiche più ambiziose di tutela del patrimonio forestale senza le quali l’obiettivo di neutralità climatica sarà impossibile da raggiungere.

Per questi motivi non bisogna cadere nella tentazione di chiedersi “perché, se abbiamo dei modi per sottrarre dall’atmosfera anidride carbonica, non possiamo usare quelli per compensare tutte le nostre emissioni e smettere di preoccuparci della transizione energetica?”. La risposta è semplice ed è sempre la comunità scientifica a fornircela. Per questioni imprescindibili di spazio e di capacità tecnologiche, gli scenari globali prevedono che gli assorbimenti alla metà del secolo riusciranno a coprire solo circa il 10%-15% delle nostre emissioni attuali: è, quindi, alle fonti rinnovabili e alle altre soluzioni di mitigazione che toccherà invece fare la parte del leone, tagliando dell’85-90% la quantità di gas serra che oggi immettiamo ogni anno in atmosfera.

È per questo che la neutralità climatica è un obiettivo raggiungibile ma molto ambizioso, fissato per la metà del secolo (e non fra pochi anni) e che i maggiori sforzi dovranno essere rivolti alla riduzione delle emissioni alla fonte, senza ricorrere a false soluzioni.

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