18 Gennaio 2023

Friuli Venezia Giulia, la prima regione che dovrà dire addio allo sci

di Andrea Barbabella, pubblicato originariamente su Huffingtonpost.it

Quello che è appena terminato è stato un anno che ci aiuta a capire come si presenterà il nostro Paese nell’era della “nuova normalità” indotta dalla crisi climatica: ondate di calore, incendi, fenomeni meteorologici estremi e spesso inediti, ghiacciai al collasso, centri urbani spazzati via da alluvioni e smontamenti. E anche il nuovo anno sembrerebbe non essere da meno, con temperature quasi primaverili nel pieno dell’inverno e le località del turismo invernale che scoprono quanto sia difficile la vita senza neve. Ma la cosa che stupisce è il senso di sorpresa che trapela dalle facce e dalle parole di alcuni politici, operatori economici, semplici cittadini. Come se nessuno sapesse.

Nessuno sapesse che, nonostante gli impegni e gli accordi sottoscritti, le emissioni di gas serra continuano a crescere a viaggiamo oramai al ritmo di 60 miliardi di tonnellate scaricate ogni anno in atmosfera. Come se nessuno sapesse che questo flusso ininterrotto, prodotto in primo luogo dall’utilizzo dei combustibili fossili, ha inspessito la coperta invisibile che ci avvolge, fino alla soglia dei 420 ppm di CO2, valore mai raggiunto almeno da 800 mila anni a questa parte. Come se nessuno sapesse che a causa di questo, viviamo oggi in un mondo più caldo di 1,2°C rispetto a quello di prima della rivoluzione industriale. E come se nessuno sapesse che il riscaldamento globale non è un evento episodico, né tanto meno una variabile che possiamo agevolmente controllare.

Il riscaldamento globale è un treno in corsa che non si può fermare da un momento all’altro (specie se il macchinista continua a buttare carbone a palate nella caldaia). L’inerzia del sistema climatico è tale che, se anche da domani magicamente smettessimo di pompare CO2 in atmosfera, le temperature continuerebbero a crescere ancora per decenni, mentre l’aumento del livello degli oceani e dello scioglimento dei ghiacciai durerebbero ancora per secoli o millenni.

Il Piano di adattamento

Proprio in chiusura del 2022 il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha presentato il Piano nazionale per l’adattamento al cambiamento climatico. Il documento era atteso da alcuni anni e adesso si avvia una fase di consultazione che dovrebbe portare al testo definitivo. E il documento contiene tante informazioni utili per capire in quale Paese viviamo e soprattutto vivremo nei prossimi decenni. Sarà un Paese più caldo, in cui la temperatura, in particolare nelle aree montuose, è cresciuta già oggi molto più della media mondiale, almeno il doppio. E sarà un Paese in cui la risorsa idrica sarà sempre più preziosa, anzi già lo è, come ci ricorda il dato sul consumo del 30% delle risorse idriche rinnovabili a fronte dell’obiettivo europeo del 20%, cosa che mette l’Italia nella non invidiabile posizione dei Paesi soggetti a stress idrico medio-alto.

La linea di affidabilità

Ma sarà anche un Paese in cui la neve sarà sempre più scarsa e preziosa. Il documento ministeriale ci ricorda che la criosfera, ossia l’insieme di neve, ghiacciai e permafrost, è già oggi gravemente compromessa a causa del cambiamento climatico, con i ghiacciai che negli ultimi decenni hanno perso dal 30 al 40% del loro volume, con la durata e lo spessore della neve, così come lo stock idrico nivale che si accumula ogni anno a fine inverno, che si sono fortemente ridotti. E, soprattutto, ci ricorda come quello del turismo invernale sarà uno dei settori più colpiti.

Oltre a una diminuzione della neve, i prossimi decenni saranno caratterizzati anche da una rapida risalita sia del limite delle nevicate, sia della cosiddetta “linea di affidabilità della neve”, l’altitudine che garantisce spessore e durata sufficienti dell’innevamento stagionale. Già in caso di una variazione moderata di temperatura (un altro grado), questa altitudine arriverebbe a 1.650 metri. Il che vuol dire che le zone alpine italiane sarebbero fortemente colpite. In Friuli Venezia Giulia, tutte le stazioni sciistiche si troverebbero al di sotto di questo livello; stessa sorte in Lombardia, Trentino e Piemonte rispettivamente per il 33%, 32% e il 26% delle stazioni sciistiche.

Con un incremento di 2 gradi (uno scenario purtroppo non inverosimile) la “linea di affidabilità della neve” arriverebbe a 1.800 metri e Alto Adige e Veneto avrebbero rispettivamente solo il 50% e il 33% delle rimanenti stazioni con neve affidabile. E, ovviamente, tra le risposte previste dal Piano non c’è un maggiore ricorso all’innevamento artificiale, di cui alcuni stanno discutendo proprio in questi giorni, ma al contrario una indicazione molto chiara: avviare un processo di progressivo smantellamento degli impianti esistenti ricorrendo a tecniche più sostenibili, per limitare gli impatti negativi sull’ambiente e, in particolare, tutelare le risorse idriche.

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