10 Novembre 2021

Giorno 9, COP26 DAY BY DAY – Lettere da Glasgow

Bozza di accordo alla Cop26: per la prima volta si parla di combustibili fossili

di Antonio Cianciullo

 

“Weak coffee and bad food” conditi con molto lavoro aveva detto lunedì Obama, un mago dell’empatia, solidarizzando con i delegati della Cop26 per le due settimane di maratona sul clima. E loro avevano ricambiato con una standing ovation prima di tornare a rinchiudersi in riunioni fiume. Ora dopo 48 ore della cura riassunta dall’ex presidente, e somministrata ad alcuni senza interruzioni di sonno, è arrivata la prima bozza del documento che dovrebbe concludere la ventiseiesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima.

Sono sette pagine in stile Onu. Chi ama il pathos e le emozioni è meglio che rinunci alla lettura di questo testo. Dopo quello che è uscito dai documenti delle più prestigiose agenzie internazionali nei giorni scorsi – un mondo che senza impegni aggiuntivi viaggia verso un aumento di temperatura che sfiora i 3 gradi, con un miliardo di persone a rischio per le ondate di calore – dal punto di vista emotivo è acqua fresca. Tutto è detto molto cautamente e questo tutto in realtà è poco.

Però questo poco potrebbe pesare molto. Perché una cosa sono gli articoli di giornale, o le conclusioni di un’assemblea di partito, una cosa sono i documenti Onu. Che hanno uno svantaggio: devono essere firmati da più di 190 Paesi, cioè dagli inquinati e dagli inquinatori. Ma anche un vantaggio: rappresentano dichiarazioni di valore universale da cui è difficile smarcarsi tornando indietro. Le dichiarazioni Onu sono mattoni che costruiscono la casa in cui tutti abitano.

E il mattone della Cop26 comincia a prendere forma. Il documento parte da una rapida sintesi delle premesse scientifiche esprimendo “allarme e preoccupazione per il fatto che le attività umane hanno causato circa 1,1 gradi di riscaldamento globale fino ad oggi e che gli impatti si stanno già facendo sentire in ogni regione”. E “riconosce che limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi entro il 2100 richiede una rapida, profonda e prolungata riduzione delle emissioni globali di gas serra, compresa una riduzione globale delle emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010 e dello zero netto intorno alla metà del secolo”.

Qui, con l’espressione “intorno alla metà del secolo”, il testo si attualizza, registra le novità politiche maturate nelle ultime due settimane. Cina, Russia e Arabia Saudita si sono posizionate sulla decarbonizzazione al 2060, l’India l’ha fatta slittare ancora, al 2070. Dunque la data del 2050 come orizzonte per un mondo a emissioni nette zero non può essere un elemento unificante. Il fatto però che anche i Paesi più ostili all’accelerazione degli impegni climatici non abbiano potuto fare a meno di indicare una data non troppo lontana dal 2050 indica che la pressione internazionale è salita. Dieci anni alcuni Paesi rifiutavano anche l’idea di indicare uno scenario temporale per la fine della crescita incontrollata delle emissioni serra. Una data, anche se inadeguata, può essere considerata dunque un passo avanti, anche se è un orizzonte troppo lontano per poter venire misurato oggi in termini politici: più importanti appaiono gli obiettivi al 2030.

A questo punto del quarto capitolo, quello dedicato alla mitigazione, arriva la frase centrale del documento, la vera novità: “Calls upon Parties to accelerate the phasing out of coal and subsidies for fossil fuels”. Le Parti che hanno aderito al processo (cioè tutti i Paesi) sono invitate “ad accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili”.

Nemmeno nell’accordo di Parigi erano stati nominati i combustibili fossili per l’opposizione dei Paesi che detengono i maggiori giacimenti. Cominciare a dare un nome alle cose è un passo elementare ma necessario. E questa bozza di documento lo fa. Da un punto di vista politico è la parte centrale della bozza.

Un’altra parte importante è quella che riguarda i finanziamenti. Vale la pena riportarla per esteso. La conferenza “rileva con grave preoccupazione che l’attuale disposizione di finanziamenti è insufficiente per rispondere al peggioramento dell’impatto del cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo; esorta le parti dei Paesi sviluppati ad aumentare urgentemente le risorse finanziarie per l’adattamento, in modo da rispondere ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo. Invita il settore privato, le banche multilaterali di sviluppo e altri finanziatori istituzioni a migliorare la mobilitazione finanziaria al fine di fornire le risorse necessarie per realizzare piani climatici, in particolare per l’adattamento”.

Un invito quindi a colmare il gap tra le promesse di finanziamenti e i fatti (in un altro passaggio si citano i 100 miliardi di dollari l’anno che erano stati promessi già nel 2009). E un appello alla sinergia tra interventi pubblici e privati che è stato il filo conduttore che ha unito gli incontri sul clima più recenti, in modo particolare il G20 di Roma e la Cop26 di Glasgow.

Il testo ha ricevuto commenti prevalentemente critici. Per Greenpeace la bozza è “nient’altro che una timida richiesta ai governi di fare di più. Servono un piano sui fondi per l’adattamento alla crisi climatica, con cifre nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari, e un impegno concreto dei Paesi più ricchi per sostenere le nazioni più povere”. Ma per il Wwf “ci sono elementi che potrebbero portare a risultasti positivi. Ad esempio l’accenno ai combustibili e all’eliminazione del carbone, sia pure senza data. Certo da soli non bastano: manca un piano di lavoro per portare a casa una decisa e rapida riduzione delle emissioni”.

Oggi dovrebbe arrivare una seconda bozza.

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