29 Novembre 2023

I meno colpevoli e i più colpiti: lo snodo di COP28 su Loss and Damage

Alla vigilia della COP28, Italy for Climate intervista Roberta Boscolo, Responsabile Clima ed Energia della World Meteorological Organisation (WMO) 


Sembra che la crisi climatica stia subendo una forte accelerazione, cosa dicono le analisi del WMO? Questa accelerazione, se confermata, come potrebbe incidere sui lavori della Cop28? 


Effettivamente, man mano che il 2023 avanza, è sempre più probabile che si assicuri il titolo di anno più caldo mai registrato, uno scenario che gli scienziati sul clima non avevano previsto all’inizio dell’anno. Temperature marine senza precedenti, allarmanti diminuzioni dei livelli di ghiaccio marino antartico ed eventi meteorologici estremi in tutto il mondo, stanno contribuendo a quello che viene considerato il 2023 “virtualmente certo” un anno da record.  

È indubbio che il motore dell’attuale riscaldamento globale siano le emissioni di gas ad effetto serra, in continua crescita negli ultimi decenni. A questo si stanno aggiungendo, secondo recenti studi, alcuni fattori inaspettati e causati talvolta dalla crisi climatica stessa, che stanno ulteriormente intensificando la situazione e contribuendo all’accelerazione a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. 

In primo luogo, un’insorgenza insolitamente rapida di El Niño sta accelerando il rilascio di ulteriore calore nell’atmosfera da parte delle acque superficiali più calde del Pacifico orientale. Questo El Niño è particolarmente notevole a causa di una prolungata fase fredda, La Niña, che ha mantenuto le temperature globali più basse per un periodo insolitamente lungo. 

Un contributo arriva, purtroppo, anche dai livelli di ghiaccio marino dell’Antartide che, proprio a causa del riscaldamento globale, hanno raggiunto picchi storicamente bassi, simili a quelli osservati nell’Artico: la diminuzione delle superfici ghiacciate riflettenti comporta un maggiore assorbimento di energia solare da parte dell’oceano, accelerando il processo di riscaldamento. Un effetto analogo è stato innescato da alcune normative per combattere l’inquinamento atmosferico attuate nel 2020 per ridurre gli inquinanti atmosferici nocivi: queste misure, volte a promuovere l’aria pulita, hanno inavvertitamente contribuito ad un aumento delle temperature, anche se sempre in minima parte rispetto al contributo delle emissioni di gas serra, perché la riduzione degli aerosol (come le particelle di solfato e di polvere) dovuta alle norme che mirano a carburanti più puliti per la navigazione, ha diminuito l’effetto di raffreddamento della superficie terrestre. 

Infine, anche la massiccia eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai nel gennaio 2022 ha rilasciato circa 150 milioni di tonnellate di vapore acqueo nella stratosfera. Il vapore acqueo, un gas a effetto serra, potrebbe contribuire al riscaldamento, anche se l’impatto completo è ancora in fase di studio. 

Sebbene negli ultimi decenni si sia assistito a un’accelerazione del tasso di riscaldamento globale, questo non ha superato in modo consistente l’intervallo previsto dai modelli climatici. Ciò fornisce una certa rassicurazione sul fatto che il mondo non è ancora entrato in una nuova fase di cambiamento climatico incontrollato. Tuttavia, alcuni scienziati avvertono che i futuri cambiamenti climatici potrebbero verificarsi più rapidamente di quanto inizialmente previsto. 

Questi scienziati argomentano sul fatto che il clima non abbia risposto completamente ai gas serra già rilasciati, citando la potenziale influenza degli aerosol, che hanno un effetto di raffreddamento artificiale. Questo scenario implica che il riscaldamento è “in cantiere” più di quanto stimato in precedenza. Sebbene non tutti gli scienziati siano d’accordo con questa ipotesi, gli attuali impatti climatici devastanti sottolineano le sfide che il mondo sta già affrontando. 

Mentre la comunità internazionale si prepara al cruciale vertice sul clima COP28, si intensificano gli appelli ad un’azione urgente per accelerare l’abbandono dei combustibili fossili. Nonostante le incertezze sul futuro ritmo del cambiamento climatico, il consenso rimane sul fatto che affrontare le sfide attuali è fondamentale, dato che il cambiamento climatico si sta rivelando grave come previsto, se non peggio. 

Nonostante la grande convergenza della comunità scientifica internazionale, la voce di pochi scettici o negazionisti non sembra ancora sopita. Esistono  nuove evidenze che rimettono in discussione il ruolo centrale dell’uomo nel  riscaldamento globale in corso? Secondo lei perché questo scetticismo è così duro da estirpare? 

Esiste un forte e schiacciante consenso scientifico sul fatto che le attività umane, in particolare la combustione di combustibili fossili e la deforestazione, contribuiscono in modo significativo al riscaldamento globale. Questo consenso è supportato da un vasto insieme di prove, tra cui modelli climatici, dati osservativi e studi di ricerca. 

Sebbene la comprensione scientifica evolva e possono emergere nuove ricerche, i rapporti di organizzazioni affidabili di ricerca sul clima e le valutazioni di organismi internazionali come l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) parlano chiaro. Le prove dell’influenza umana sul sistema climatico si sono progressivamente rafforzate nel corso delle precedenti cinque valutazioni. Il Quinto Rapporto di Valutazione (AR5) ha concluso che è estremamente probabile che l’influenza umana abbia causato più della metà dell’aumento della temperatura superficiale media globale osservato dal 1951 al 2010. Inoltre, il Capitolo 11 del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC afferma che è praticamente certo che l’effetto forzante dei gas serra indotto dall’uomo sia il principale responsabile dell’aumento osservato della probabilità e della gravità degli eventi estremi di caldo su scala globale. 

La disinformazione è uno dei mali del nostro secolo. La disinformazione sul cambiamento climatico è un esempio ben documentato. L’industria del gas e petrolio ha compreso le conseguenze ambientali della combustione dei carburanti fossili almeno fin dagli anni Sessanta. Eppure, ha speso decenni per finanziare organizzazioni che negavano la realtà del cambiamento climatico. Questa campagna di disinformazione ha ritardato la mitigazione del clima di diversi decenni: un caso di politica pubblica ostacolata da false informazioni. Abbiamo assistito a una traiettoria di disinformazione simile nella pandemia COVID-19, sebbene sia avvenuta in pochi anni anziché in decenni. La disinformazione sulla COVID variava dalle affermazioni secondo cui la malattia sarebbe stata causata dalle torri 5G piuttosto che da un virus, fino a mettere in dubbio l’efficacia delle misure di blocco o la sicurezza dei vaccini. L’ondata virale di disinformazione ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a introdurre un nuovo termine – infodemia – per descrivere la diffusione di informazioni di bassa qualità e di teorie cospirative.  

L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) si è concentrata principalmente sulla fornitura di informazioni accurate e affidabili relative al cambiamento climatico piuttosto che sulla lotta diretta alla disinformazione. Tuttavia, affrontare direttamente il negazionismo sul cambiamento climatico comporta un insieme più ampio di azioni, che spesso richiedono la collaborazione con altre organizzazioni, governi e società civile. Gli sforzi per combattere la disinformazione comprendono la promozione dell’alfabetizzazione mediatica, il fact-checking e la promozione delle capacità di pensiero critico tra il pubblico. Io personalmente mi sono molto impegnata nei social media proprio per contrastare questa disinformazione.


Uno dei temi al centro delle trattative di questa COP28 sarà l’operatività del meccanismo “Loss and Damage” per supportare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi al clima mutato e a compensare i danni subiti per la crisi climatica. Riusciremo alla COP28 ad arrivare a mettere in piedi un sistema efficace?

L’istituzione di un fondo per le “Loss and Damage“, è stato uno sviluppo significativo della COP27. Gli attori della diplomazia sul clima hanno dedicato l’ultimo anno a definire i dettagli chiave di questo fondo, concentrandosi su questioni quali i Paesi contributori, i criteri di accesso e l’entità ospitante.  

La proposta concordata prevede dei compromessi, in particolare per quanto riguarda i contributi dei grandi emettitori storici come gli Stati Uniti e il Regno Unito. Invece di contributi obbligatori legati alle emissioni storiche, la proposta “sollecita” i Paesi sviluppati a contribuire e “invita” altri stati a fare lo stesso. Questo linguaggio, ancora provvisorio, solleva incertezza sull’ammontare dei finanziamenti che confluiranno nel fondo. È interessante notare che la proposta apre la porta a paesi relativamente ricchi come la Cina o l’Arabia Saudita, nonostante siano ufficialmente classificati come paesi in via di sviluppo. 

Un compromesso cruciale è la decisione di ospitare inizialmente il fondo presso la World Bank, nonostante le forti preoccupazioni sollevate dai paesi in via di sviluppo che ritengono questa istituzione un’entità fortemente controllata dai paesi donanti. Il rischio che i paesi donanti possano ostacolare l’accesso ai finanziamenti è una apprensione radicata nelle promesse non mantenute del passato, come il mancato stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per l’adattamento al clima e la decarbonizzazione. 

C’è ancora molta ambiguità sulla quantità di denaro necessaria per le perdite e i danni. Sebbene la proposta di consenso manchi di un obiettivo di finanziamento specifico, i Paesi in via di sviluppo avevano proposto un obiettivo di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Questa cifra, tuttavia, è ritenuta insufficiente da alcune stime, considerando la scala crescente di perdite e danni registrati negli ultimi anni. 

Inoltre, il ruolo della scienza climatica nell’attribuire specifici eventi meteorologici al cambiamento climatico rimane una questione controversa. Sebbene i progressi della scienza dell’attribuzione abbiano permesso ai ricercatori di attribuire alcuni eventi al cambiamento climatico, le limitazioni dei dati meteorologici nelle regioni vulnerabili complicano queste valutazioni. L’accesso ai fondi di “Loss and Damage” da parte dei paesi più vulnerabili non dovrebbe essere vincolato ad una scienza esatta sul contributo del riscaldamento globale su eventi estremi. Questo è importante proprio per evitare di compromettere l’ambizione complessiva dei finanziamenti per il clima, mentre i paesi colpiti da siccità e inondazioni hanno bisogno di aiuti immediati.  

La proposta di consenso, raggiunta a novembre, deve affrontare una potenziale sfida alla COP28, dove ogni paese potrebbe decidere di riaprire le discussioni, rischiando di far fallire i negoziati su questa e altre questioni urgenti. 

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