15 Marzo 2022
L’unica via per uscire dalla dipendenza energetica è la transizione
(di Chiara Montanini, Project Manager di Italy for Climate)
L’Italia è fra i Paesi europei con la più alta dipendenza energetica dall’estero. Nel 2021 ben il 77% del fabbisogno nazionale è stato coperto dalle importazioni, mentre solo il 23% è stato soddisfatto dalla produzione nazionale (soprattutto grazie alle fonti rinnovabili). Le importazioni riguardano essenzialmente i combustibili fossili, ovvero petrolio, gas e carbone. Questi combustibili, oltre ad essere i principali responsabili dell’attuale crisi climatica, sono anche oggetto di complesse (e spesso pericolose) relazioni geopolitiche ed economiche, come stiamo sperimentando anche in queste ultime settimane con la guerra in Ucraina.
Ma quali sono i Paesi da cui dipendiamo maggiormente per queste risorse? Qual è la fonte che pesa di più sulla nostra dipendenza energetica? Con Italy for Climate abbiamo provato a mettere insieme i numeri sul consumo di combustibili fossili in Italia nel nuovo Report “Da dove viene la nostra energia?” e il quadro aggiornato che ne emerge non è dei più rassicuranti.
La Russia è il Paese da cui più di tutti dipendiamo energeticamente: il 25% di tutto il fabbisogno nazionale di energia fossile proviene proprio da questo Paese, e non solo per il gas. Infatti la Russia è anche l’unico Paese da cui dipendiamo significativamente per tutte e tre i combustibili fossili: provengono da questo Paese quasi il 40% delle importazioni di gas, il 12% di quelle di petrolio e ben il 52% di quelle di carbone.
A seguire c’è l’Algeria, che soddisfa il 15% del nostro fabbisogno di fossili (da cui acquistiamo soprattutto gas ma anche un po’ di petrolio). C’è anche il meno noto Azerbaijan fra i principali fornitori dell’Italia: da questa Repubblica ex sovietica della regione transcaucasica importiamo il 13% della nostra energia fossile (soprattutto petrolio ma anche gas). La Libia invece pesa per il 9% sul nostro import di energia, soprattutto per l’acquisto di petrolio. Completano la top ten dei nostri fornitori di combustibili fossili Iraq, Qatar, Arabia Saudita, Stati Uniti e Nigeria.
In molti sostengono che per ridurre i rischi connessi alla elevata dipendenza dell’Italia dal gas russo si debba puntare alla diversificazione del nostro acquisto di fonti fossili aumentando le forniture da altri Paesi, in particolare da Qatar e Azerbaijan. Ma cosa hanno in comune tutti i Paesi sopracitati, oltre ad una enorme abbondanza di fonti fossili? Sono tutti regimi autoritari, classificati dal The Economist fra gli ultimi 50 Paesi per livello di democrazia, con l’eccezione della Nigeria (che viene classificata come un “regime ibrido”) e, naturalmente, degli Stati Uniti. Davvero pensiamo che liberarci della Russia aumentando le forniture dagli altri Paesi potrebbe metterci più al sicuro da nuovi dispotismi e terremoti geopolitici?
Altri affermano che per risolvere la nostra dipendenza energetica dall’estero dovremmo puntare di più sulla produzione nazionale, che ad oggi è ferma a circa il 5% del nostro fabbisogno di fossili (anche l’Italia, infatti, rientrerebbe nella top ten dei Paesi da cui ci approvvigioniamo per le fonti fossili, classificandosi sesta dopo il Qatar). La produzione nazionale riguarda soprattutto l’estrazione di greggio, cioè del petrolio non raffinato, e in minor parte di gas naturale. Le riserve accertate in Italia sono tuttavia contenute e la loro estrazione ritenuta più costosa rispetto all’approvvigionamento dall’estero.
Ma anche qualora decidessimo di voler sfruttare a pieno tutte le risorse nazionali, i dati ufficiali forniti dal Ministero per lo sviluppo economico dimostrano che non si tratterebbe di una opzione risolutiva. Immaginando di dare fondo a tutte le riserve italiane di gas e petrolio, sia quelle accertate che quelle considerate solo possibili o probabili, la nostra indipendenza energetica per le fonti fossili durerebbe solo pochi anni. Nello specifico circa un anno e mezzo per il gas e meno di quattro anni per il petrolio. Decisamente troppo poco per giustificare le incertezze sull’esito di queste esplorazioni e gli ingenti investimenti che sarebbero necessari.
Ma quindi come usciamo da questa pericolosa dipendenza energetica? Riducendo il più possibile, e il prima possibile, il nostro fabbisogno di combustibili fossili grazie alla transizione energetica. Con interventi straordinari, ma pienamente fattibili, di efficienza energetica negli edifici e con una forte spinta alle fonti rinnovabili potremmo chiudere i rubinetti del gas russo già nel giro di pochi d’anni. E se proseguissimo su questa strada, raggiungendo gli obiettivi di transizione energetica previsti dalla Roadmap per la neutralità climatica dell’Italia, arriveremmo già nel 2030 ad un risultato storico per il nostro Paese: più della metà del nostro fabbisogno (il 54%) sarebbe coperto con fonti energetiche nazionali (ricordiamo che oggi siamo fermi al 23% e che negli ultimi trent’anni il dato è migliorato solo di pochi punti percentuali).
Transizione energetica si traduce in maggiore efficienza nell’uso dell’energia e in una forte crescita delle fonti rinnovabili. Entrambe queste soluzioni non solo ci permettono di affrontare la crisi climatica (che è l’obiettivo per il quale sono state concepite), ma sono anche le uniche efficaci e durature per affrontare i molti rischi legati alla dipendenza energetica, rischi che sono oggi sotto gli occhi di tutti. Se sceglieremo di mantenere una economia fossile, con solo qualche sparuto intervento legato alla transizione ecologica, mai risolveremo la nostra debolezza energetica. Ma allora perché perdere tempo?
Articolo originale su Repubblica.it