7 Luglio 2025

Geopolitica della transizione: quale ruolo per l’Europa?

In un’epoca di profonda incertezza del panorama internazionale, anche la transizione energetica è diventata una sfida strategica per la geopolitica globale. La guerra in Ucraina, che ha coinvolto uno dei principali player dei combustibili fossili, cioè la Russia, è stata la dimostrazione che un sistema energetico basato su petrolio, gas e carbone non è solo rischioso per la crisi climatica, ma anche per la sicurezza globale, poiché le risorse fossili sono fortemente concentrate nei pochi Paesi che ne hanno disponibilità.

Di geopolitica, ruolo dei grandi player nella sfida della transizione energetica e futuro delle imprese, abbiamo parlato in un incontro organizzato con AIDAF (Associazione delle imprese familiari italiane) dal titolo “Geopolitica della transizione energetica: attori, tendenze e prospettive”, riservato alle imprese associate ad AIDAF e ai promotori di Italy for Climate. Sono intervenuti Chiara Montanini (Project Manager di Italy for Climate); Paolo Compostella (Direttore Europa di APCO) e Carlo Pesenti (Consigliere Delegato di Italmobiliare).

La transizione energetica ci libera dalla “dose” quotidiana di combustibili fossili e rende meno fragile la posizione commerciale di Paesi come l’Italia (e tutta l’UE), che sono poveri di queste risorse e sono oggi costretti ad una dipendenza schiacciante dal proprio “spacciatore”. Questo però non significa che la transizione non si porti dietro, a sua volta, complessità geopolitiche e problemi di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti. Nel caso della transizione, però, si parla di dipendenza tecnologica e da alcune materie prime critiche che sono essenziali, sì, ma solo nella fase di costruzione della tecnologia e non più come “dose” quotidiana. L’economia circolare, inoltre, può alleviare il peso della dipendenza tecnologica perché tutti i materiali, per quanto critici o preziosi, si possono sempre in qualche misura recuperare, riutilizzare, riciclare e auspicabilmente in un futuro anche sostituire, mentre i combustibili fossili si esauriscono dopo essere stati consumati e non possono essere sostituiti, seguendo un tipico modello di economia lineare.

Sul fronte dei player principali nella geopolitica dell’energia, due modelli diametralmente opposti si stanno affermando negli ultimi mesi. Da un lato c’è il modello cinese, che ha identificato la transizione come leva strategica per rafforzare il suo potere commerciale a livello globale e punta ad una sovranità tecnologica verde: sono concentrati in Cina oggi il 54% degli investimenti nelle rinnovabili e sono prodotti in Cina oggi l’84% di pannelli fotovoltaici e più del 70% di auto elettriche.

Dall’altro lato ci sono gli Stati Uniti, che con la nuova amministrazione Trump puntano a rafforzare la loro posizione dominante nell’esportazione di combustibili fossili, in particolare petrolio e GNL (gas naturale liquefatto), con quasi 10 milioni di barili di petrolio al giorno e 123 miliardi di metri cubi di GNL. Queste politiche sembrano avere un respiro di breve periodo e appaiono quasi anacronistiche, alla luce dell’unanimità sulla crisi climatica e della velocità con cui la transizione energetica sta già investendo la quotidianità di cittadini e imprese.

E in tutto questo l’Europa? Si trova in un guado da cui deve uscire quanto prima per non rimanere bloccata e perdere definitivamente il treno dell’innovazione. Con il recente Clean Industrial Act ha ribadito quanto la decarbonizzazione sia ormai un asse portate della ripresa della competitività industriale in Europa, ma per recuperare almeno in parte il gap con la Cina servono decisioni più coraggiose e una visione chiara e condivisa, per garantire alle imprese di fare la propria parte.

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