16 Settembre 2025

Perché l’Italia dovrebbe preoccuparsi della crisi climatica

L’Italia si trova al centro del bacino del Mediterraneo, un’area definita “hotspot climatico” perché particolarmente vulnerabile alla crisi climatica. L’IPCC definisce la vulnerabilità come “la propensione o la predisposizione a essere influenzati negativamente; il termine comprende una varietà di concetti ed elementi, tra cui la sensibilità o suscettibilità al danno e la mancanza di capacità di far fronte e di adattarsi”.

A confermare questa vulnerabilità sono innanzitutto i dati. Secondo le stime di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente), nel 2024 la temperatura media in Italia ha raggiunto un nuovo record: +1,52°C rispetto alla media 1991-2020, il valore più alto mai registrato. Se guardiamo al periodo pre-industriale (1850-1900), il nostro Paese risulta già oggi più caldo di oltre 3°C, a fronte di un aumento medio globale di circa +1,5°C. Ciò significa che il riscaldamento in Italia procede a una velocità doppia rispetto alla media mondiale.

Com’è noto, l’aumento delle temperature ha conseguenze dirette sulla frequenza e sull’intensità degli eventi meteoclimatici estremi. Nel 2024 ne sono stati registrati 3.631, con un incremento del +158% rispetto al 2018. Crescono soprattutto le piogge intense (+452%), le raffiche di vento (+183%), le grandinate (+145%) e i tornado (+76%). Dal 1980 a oggi, l’Italia ha subito oltre 90 miliardi di euro di danni (un decimo di tutta la spesa pubblica nazionale), risultando il terzo Paese europeo più colpito dopo Germania e Francia.

Ma, oltre all’aumento delle temperature, l’altra grande sfida per l’Italia nell’epoca dei cambiamenti climatici è la gestione della risorsa idrica. Dall’inizio del Novecento la disponibilità di acqua si è ridotta del 20% e le indicano che potrebbe diminuire di un ulteriore 10% con un aumento delle temperature globali di +2°C, e addirittura del 40% nello scenario attuale di +3-4°C entro fine secolo. Non solo: l’indice di stress idrico, che misura il rapporto tra acqua prelevata e acqua disponibile, ha già raggiunto il 30% a livello nazionale, superando ampiamente la soglia di criticità del 20%.

La vulnerabilità climatica dell’Italia varia poi molto nelle diverse regioni. Dal database CIRO  emerge un quadro articolato: sul fronte degli eventi estremi, nel 2023 il Friuli-Venezia Giulia è stata la regione più colpita (50 eventi ogni 1000 kmq); quanto al rischio alluvioni, l’Emilia-Romagna resta la regione più esposta con oltre il 61% della popolazione a rischio. Ad influire su questi impatti è anche il consumo di suolo: la Lombardia è la regione con la performance peggiore (12,2%), mentre la Valle d’Aosta è la più virtuosa (2,2%).

La posizione nel cuore del Mediterraneo, l’elevata densità abitativa e la fragilità del territorio fanno sì che il nostro Paese sia particolarmente esposto agli impatti della crisi climatica, con conseguenze sempre più evidenti per comunità, ecosistemi ed economia. Ed è per questo che proprio l’Italia dovrebbe avere tutto l’interesse a frenare l’aumento delle emissioni di gas serra e a contenere l’avanzata della crisi climatica.

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