25 Aprile 2025
Case e auto fanno crescere ancora i consumi energetici in Italia
di Andrea Barbabella, pubblicato originariamente su Huff Post
Con il report “I 10 key trend sul clima” giunto alla sua sesta edizione, Italy for Climate elabora la pagella dell’Italia in materia di transizione energetica e crisi climatica per l’anno che si è appena chiuso. Come sempre, a seconda degli anni e dei settori, dal report emergono sia luci che ombre. L’analisi dei dati 2024 ci restituisce almeno un paio di zone d’ombra ma anche una luce, forse inaspettata.
La prima zona d’ombra è quella dell’aggravarsi della crisi climatica. Nella portaerei del Mediterraneo, come qualcuno ha ribattezzato lo stivale, la temperatura negli ultimi decenni è cresciuta a un ritmo più che doppio rispetto alla media mondiale. E l’enorme quantità di energia intrappolata nell’atmosfera e nei mari ha alimentato una serie di eventi climatici estremi non più riconducibili alla tranquillizzante categoria del “maltempo”, come qualcuno si ostina a fare.
Nel 2024 in Italia, secondo i dati raccolti dallo European Severe Weather Database, si sono contati oltre 3.600 eventi estremi, che vanno dalle piogge intense, come quelle che hanno colpito e stanno colpendo alcune regioni italiane e che non hanno più nulla di eccezionale, fino alle grandinate e alle raffiche di vento. È il valore più alto mai registrato e in appena sette anni, con una progressione incredibilmente costante, questo valore si è più che triplicato. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia, quando di acqua non ce n’è troppa ma troppo poca. E così, nel 2024 persiste in Italia un deficit di acque nevose, quelle che in gran parte garantiscono la disponibilità idrica anche in estate: nell’anno appena trascorso questo deficit è stimato dalla Cima Foundation nel 36% (rispetto alla disponibilità media 2011-2022), ma in alcune aree d’Italia, come nel bacino idrico del Tevere, arriva a sfiorare il 90%.
La seconda vasta zona ombra del 2024 è quella del rallentamento di un processo di decarbonizzazione che, solo lo scorso anno, aveva dato segnali molto incoraggianti. Le emissioni di gas serra sono calate di poco più del 2%, troppo poco non solo pensando al taglio del 6,5% dell’anno precedente ma, soprattutto, guardando agli obiettivi al 2030 che con questo passo non saranno raggiunti. Dietro questo dato ci sono dinamiche molto concrete su cui dovremmo e potremmo intervenire, entrambe connesse alle difficoltà nel portare nel nostro Paese avanti politiche e misure per l’efficienza energetica, come dimostrano i consumi di energia che nel 2024 sono tornati incredibilmente a crescere (+1,5%).
La prima dinamica è quella rilevata nel settore più energivoro di tutti, quello degli edifici: nell’anno della chiusura del discusso Superbonus, tornano a salire i consumi di energia, spinti anche da un inverno più rigido del precedente, ma soprattutto calano le vendite di pompe di calore, passate dal record di oltre mezzo milione di unità del 2022 a meno di 360 mila unità. La seconda dinamica riguarda i trasporti. Oltre ai ritardi cronici nel trasporto pubblico e nelle nuove forme di mobilità dolce o condivisa, l’Italia si conferma da un lato il Paese con il più alto tasso di motorizzazione d’Europa, con più auto che patentati per poterle guidare, dall’altro il fanalino di coda per la vendita di auto elettriche, che nel 2024 rappresentano il 4,2% di tutte quelle immatricolate nel Paese, contro una media europea di quasi il 14%.
Insomma, la transizione energetica nel nostro Paese sembra davvero non riuscire a decollare. Eppure, come detto all’inizio, l’analisi dell’anno appena concluso non ci lascia solo ombre. Nel 2024 abbiamo raggiunto il valore più basso della dipendenza, tradizionalmente molto elevata nel nostro Paese, dall’import di combustibili fossili. Siamo passati dal 79% di import in relazione al fabbisogno del 2022 al 72%, il valore più basso da almeno trent’anni a questa parte. Circa 7 punti percentuali significano un risparmio di alcuni miliardi di mc di gas o alcuni milioni di tonnellate di petrolio o carbone, decisamente una buona notizia nel contesto attuale.
E questo risultato è riconducibile in primis al trend positivo delle rinnovabili elettriche che in pochissimi anni sono passate dal rappresentare circa il 40% della produzione nazionale al 49% dello scorso anno, a un soffio dallo storico soprasso di gas e carbone. Le installazioni di nuovi impianti rinnovabili, infatti, sono passate da una media di 1 GW all’anno nel periodo 2014-2021, ai 5,7 GW del 2023 fino ai 7,5 GW del 2024. Questo vuol dire che, solo guardando agli ultimi due anni, abbiamo realizzato 12 GW di nuovi impianti fotovoltaici e 1,2 GW di nuovi impianti eolici, va detto ancora insufficienti per raggiungere i target del 2030, ma in grado di produrre ogni anno, almeno per i prossimi 15 o 20 anni, qualcosa come 16 miliardi di kWh. Si tratta della stessa quantità di energia che sarebbe stata prodotta da 8 Small Modular Reactor, se solo esistessero (!) e se davvero fossimo in grado di realizzarli in appena due anni. Ma in fondo non è una novità: una cosa simile era già successa nella prima fase di sviluppo delle nuove rinnovabili in Italia, tra il 2008 e il 2014, quando la produzione di elettricità da rinnovabili all’incirca raddoppiò consentendo di ridurre la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di fossili da valori stabili attorno all’85% a valori strutturalmente inferiori all’80%.
Il nostro 2024 ci dice che, in un’epoca di grandi tensioni internazionali, le rinnovabili sono la soluzione più concreta che il nostro Paese ha per ridurre la dipendenza dalle importazioni di fossili migliorando la nostra sicurezza energetica e mettendo al sicuro la nostra economica dalla imprevedibile volatilità dei mercati globali.